Intervista ad Alberto Fortis parlando di rock, pop, blues, politica e filosofia dei live concerts

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VARESE, 15 gennaio 2020- di GIANNI BERALDO-

Quarant’anni di carriera e non sentirli. Quattro decadi trascorsi tra studi d’incisione e palchi di tutto il mondo collaborando con molti artisti di fama internazionale, alcuni delle vere e proprie star della musica rock, pop e blues.

D’altronde Alberto Fortis è un artista con un background musicale che esula dai canoni della canzone italiana classica, attingendo a sonorità tipiche di chi la storia del rock e del blues (ma pure dalla cultura musicale sudamericana) la conosce bene.

Il suo primo album ”Alberto Fortis” del 1979

Negli anni ha inciso ben 16 album, conquistato due dischi d’oro e uno di platino a fronte di grandi successi come ‘’La sedia di lillá’’, ”Milano e Vincenzo’’, ”Settembre’’ giusto per citarne alcuni. Ma Fortis in realtà non si è mai adagiato, esplorando sempre nuove vie artistiche, ascoltando e provando nuove sonorità, a volte rinverdendo un certo tipo di sound altre confrontandosi con scenari musicali quali la musica indie (genere musicale di alternative rock nato nel Regno Unito e negli Stati Uniti alla fine degli anni ottanta e diffusosi, soprattutto a partire dagli anni 2000, in tutto il mondo), carpendone a piene mani la sua linfa vitale poi espressa, in parte, pure durante i suoi concerti.

Tutto questo d’altronde reso manifesto nel bellissimo e recente doppio album live intitolato “Fortis-1°OfficiAlive” corredato da un dvd e libro ricco di fotografie inedite provenienti direttamente dall’archivio personale dell’artista. Insomma Alberto Fortis è un personaggio con la P maiuscola, un musicista molto bravo e autore di splendidi testi.

Persona sempre garbata, mai arrogante e molto intelligente. Per questo e molto altro l’abbiamo intervistato

 

L’aspetto live è una parte preponderante di tutta la tua vita artistica. I tuoi concerti sono sempre molto emozionanti con versioni spesso diverse delle tue canzoni. Sensazioni, pathos e divertimento ben espresso d’altronde nel recente doppio cd e dvd intitolato “Fortis-1°OfficiAlive”

 «In effetti durante i concerti tendi a caricare un po’ di più, esaltando maggiormente certi aspetti legati alla  fisicità rispetto all’esecuzione: in questo lavoro discografico invece vi è stata questa felice convergenza di cose. Tra l’altro nel dvd oltre al concerto vi è pure un capitolo dedicato ai videoclip relativi a progetti recenti, che ho curato nelle vesti di regista o co-regista».

Nel corso della tua lunga carriera hai lavorato molto anche all’estero collaborando con diversi nomi noti, pensi che l’Italia a livello musicale sia rimasto un Paese ”provinciale” rispetto a quanto si produce per esempio negli Stati Uniti o Inghilterra?

«Il mondo è cambiato, con esso anche la globosfera artistica/musicale su come si fa musica, come la si recepisce e come viene comunicata. Il gap non è più quello di un tempo, quello dove se un musicista come me aveva voglia di sperimentare negli anni Ottanta prendeva e andava a Los Angeles. Diciamo che negli Usa o Inghilterra vi è  sempre una sorta di considerazione della figura professionale a livello musicale essendo forse considerate in uno stato più alto, facendo una battuta in quei paesi non accade che come qui in Italia che chiedano “Certo sei un musicista  ma di lavoro che fai?”. In quei luoghi la musica è più una colonna sonora del sociale, forse la cosa dove noi dobbiamo fidarci più di noi stessi sarebbe quello di partire per primi».

Rimane la grande differenza di radici culturali

Il doppio cd, libro e dvd live

«Volevo dire proprio questo. Infatti se parliamo di pop rock è innegabile che la sorgente è più anglosassone, se invece parliamo di musica classica o di opere ovviamente siamo intoccabili.

Globalmente parlando vi è sempre un po’ questo retaggio, ossia che paesi dai mercati forti pretendono sempre dei prodotti che siano vicini alle loro radici etniche. Come esempi potrei citare la musica cantata in spagnolo dove il mercato è florido anche e ovviamente in America Latina. Noi possiamo puntare sulla creatività in quell’area definita come indie del Sud Italia, non certo per scimmiottamenti  che ora regnano sovrani ma dai  quali non credo nascerà molto»

In quarant’anni di carriera hai conosciuto e suonato con molti grandi nomi della musica internazionale come Paul McCartney e John Lennon ad esempio: cosa ti hanno lasciato queste esperienze sotto il profilo artistico ma soprattutto umano?

«Direi soprattutto a livello umano. Negli anni Ottanta e Novanta era inconcepibile da noi che una grande star della musica potesse avere un atteggiamento umano e familiare. E’ vero che i posti e la situazione facevano parte del lavoro però certi atteggiamenti così amichevoli, umani  e di attenzione nei miei confronti erano comunque sorprendenti. Certo qualcuno potrebbe sostenere che  il tutto sia stato facilitato dall’ambiente in cui mi trovavo, invece no perché vi sono anche gli antipatici, scostanti, insomma quelli che fanno le star anche nei piccoli territori. A me gente come Paul McCartney, Stevie Wonder, David Bowie, George Martin (produttore dei Beatles, ndr) o gli stessi musicisti con cui lavoravo mi hanno sempre accolto e considerato molto bene. Faccio un esempio: all’epoca dell’album “La grande grotta” registrato a Los Angeles nel 1981, un gruppo di musicisti straordinari  incidevano mezza giornata per il nuovo album di Stevie Wonder l’altra erano in studio con me. Album inciso in 5 giorni suonando praticamente in diretta con loro. Per me è stata una grande lezione  di professionalità e dedizione al lavoro facendomi capire che non sei mai arrivato e devi sempre imparare e lavorare sodo».

Live a Varese con Distretto 51

Parlando di atteggiamenti, spesso vi sono artisti, soprattutto durante il sound check, con mille pretese, tra questi prevalentemente quelli italiani

«A volte dipende anche da chi ti sta intorno. Poi vi sono delle situazioni particolari dove il sound check diventa difficile. A me ad esempio una volta capitò di fare circa 3 ore di sound check ma non per vezzo ma perché l’impianto era davvero orribile. Quindi alcuni atteggiamenti non sempre sono questione di arroganza ma di atti concreti come appunto cose che non funzionano».

Tra gli artisti italiani sottolineerei il grande ritorno anche a livello internazionale della PFM, ma pure diversi “storici” cantautori pare abbiamo riscoperto il piacere di suonare ottenendo ancora un buon successo.

«Parlando di PFM ricordo con piacere il concerto che tennero l’estate scorsa all’arena di Verona con Cristiano De Andrè dove mi chiamarono come ospite. Ecco anche in questo caso l’evidenza parla da sé. Infatti se tu fissi in certi momenti storici un tipo di musica che oltretutto non patisce particolarmente il passare del tempo, quella rimane per sempre. Tra l’altro in un momento come questo dove prevale la sostanza, con i concerti che tornano a essere la prova del nove per chi sa fare questo mestiere. Inutile dire ”vado a suonare” quando suonare vuol dire fare una ventina di minuti a un evento di moda: questa è un’altra cosa, sono dei gadget musicali come fossero gadget sugli abiti ecc…Mi auguro, senza nessun detestabile atteggiamento nostalgico, che qualsiasi tipo di musica torni a essere un ascolto sostanziale in quanto l’unica cosa un po’ stridente, e lo dico nel nome dell’arte, è quello di sperare che vi sia un giro di boa rispetto a questo cliché con una obsoleta ritualità di canzoni che non sono né di protesa, né di proposta. C’è una volgarità fine a sé stessa con i giovani e giovanissimi ascoltatori che sembrano come i cani delle corse che rincorrono una lepre elettronica, non una lepre vera»

 

Parlando di giovani e novità a livello sociale suscita un certo interesse il Movimento delle Sardine

«Spero siano spontanei, comunque ben vengano loro come tutti quei movimenti spontanei appunto. In questo momento soffro di una sorta di preventivo scetticismo, con una situazione politica generale che a volte sembra fatta apposta per rallentare tutto adottando degli atteggiamenti sorprendenti. Devo dire che è sempre stato un po’ così anche nel resto del mondo, però alla fine  se c’è un problema da risolvere che fa comodo a tutti, questo diventa il capro espiatorio di una retrospettiva politica. Usando una metafora è come fosse una sorta di tronco d’albero caduto in autostrada che blocca tutto. A quel punto si dovrebbe prima togliere l’albero, far passare le persone, poi iniziare la discussione inerente la causa del problema. Questo atteggiamento d’altronde è figlio dei tempi, tutto oramai si brucia  con un governo che funziona due mesi dove pare vi sia una certa stabilità, poi cade in estate, mentre ora siamo al cospetto di una nuova fase politica. Non saprei che altro aggiungere a situazioni come queste».

L’Ypsigrock Festival di Castelbono

Forse era meglio in passato, come nei tanti ed erroneamente bistrattati fine anni Settanta, dove vi era invece una grande creatività a livello culturale e artistica.

«Certamente. Secondo me la creatività vera è finita dopo la metà degli anni Ottanta, poi è iniziata un pò la gomma, la plastica il cliché , il vortice dell’apparenza. Naturalmente nel tempo è andata un po’ a perdersi anche quell’onda collettiva musicale. In realtà oggi vi sono degli artisti giovani bravi e interessanti. Mi vengono in mente ad esempio i Pinguini Tattici Nucleari, in grado di riempire addirittura il Forum di Assago. Questo vuol dire che esiste un parterre che ha voglia di cose diverse, lo vedo anche nei miei concerti. Tra l’altro belle sensazioni provate a un mio concerto riscontrate organizzato all’interno di un bel festival di musica Indie come l’Ypsigrock di Castelbuonovicino a Palermo, dove pareva essere al Fringe Festival di Edimburgo con molti gruppi indipendenti. Festival dove suonai lo scorso mese di agosto- con un concerto pianoforte e voce-all’interno di una chiesa con una temperatura di circa 48 gradi, trasformando il tutto in una gigantesca sauna. Nonostante questo la chiesa era stracolma con moltissimi giovani ragazzi che non conoscevano la mia musica, ma che alla fine mi hanno fatto i complimenti facendo pure foto ecc.. Ciò dimostra che se la tua musica, la tua arte, viene riproposta con voglia e novità con il pubblico s’instaura una sintonia fortissima aldilà delle generazioni di fruitori. Ma queste cose, questi terreni non vengono raggiunti purtroppo da un certo tipo di comunicazione, questo è il mio segnale di allarme. Per quanto i giovani ascoltino poco musica alla radio preferendo magari piattaforme musicali come Spotify, vi sono poi altre

I Pinguini Tattici Nucleari, fenomeno di musica indie italiana

situazioni che poi decretano un successo o no».

Immagino che ora tu stia promuovendo questo doppio live e dvd.

«Questo l’ho fatto il mese scorso, ora sono impegnato con il tour invernale regalando sempre diverse sorprese. In questo momento sono molto attivo, anche più di alcuni momenti di successo del passato; poi vediamo se le linee principali della comunicazione si allineeranno come sempre successo nel mio caso. Posso anticipare che ho in cantiere un nuovo album di inediti del quale non posso anticipare nulla in quanto ancora in fase embrionale».

direttore@varese7press.it

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