BENEVENTO, 27 febbraio 2020-Dopo i casi di infezione da coronavirus SarsCoV2 in Italia e la psicosi che si è generata non bisogna realizzare strategie di sopravvivenza del tipo “si salvi chi può!” e “mors tua vita mea”, ma si deve rimanere saldamenti ancorati al senso di responsabilità civile e sociale che è l’unica cosa che facilita il lavoro dei professionisti, che rende efficaci le misure predisposte e che rischia pericolosamente di vacillare di fronte a sollecitazioni così intense. Lo ha detto il Prof Raffaele De Luca Picione, che insegna Psicologia Dinamica all’Università Giustino Fortunato di Benevento.
“In queste ultime ore – ha rilevato il professore – assistiamo a un fenomeno antropologico di spaesamento, perdita di orientamento, ricerca assoluta di rassicurazione, corsa a qualsiasi forma di riparo e protezione, dal chiudersi in casa, al fare scorte di viveri, al rintracciare materiale e strumenti che possano proteggerci e ripulirci, come mascherine e detergenti specifici. Tali comportamenti diventano espressione di processi psicologici in cui la componente affettiva-cognitiva è intensa se non per dire esplosiva. I processi di valutazione, interpretazione e riflessione su quanto accade intorno a noi possono vacillare e si attivano forme reattive, istantanee, acefale di comportamento. Dalla fuga, alla barricata, dal confinamento alla segregazione, dalla condivisione e diffusione di notizie alla segnalazione dei possibili untori e sospetti”.
Il sentirsi inermi, il non riuscire a prevedere esattamente cosa è possibile che accada, la minaccia proveniente da qualcosa di ancora non del tutto conosciuto (una nuova malattia di cui non si conosce bene l’origine e le sue cure), ha spiegato l’esperto, “genera quella che nel senso comune viene definita una “psicosi”. Infatti sembra questo il termine più usato nelle ultime ore per descrivere lo straripamento delle paure, il dilagare e diffondersi del panico, la paura di essere colti di sorpresa. Tra i processi inconsci innescati per rispondere allo straripamento emotivo, vi è quello dell’irrigidimento dei confini e della ricerca dell’oggetto che possa simbolizzare la paura, ovvero dare espressione a qualcosa che non è rappresentabile”. Da un lato, ha detto, abbiamo visto come il discorso sociale e culturale abbia avuto come prima risposta la chiusura e l’irrigidimento dei confini: proteggere ciò che è dentro da ciò che è fuori.