Il Punto di Nicola Gervasini: ”La lezione del Coronavirus”

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VARESE, 5 marzo 2020- di NICOLA GERVASINI-

Orson Welles, mentre girava Il Terzo Uomo, improvvisò sul set una battuta rimasta celebre, e mantenuta nonostante non fosse sul copione scritto da Graham Greene. «Sotto i Borgia per trent’ anni l’Italia ha vissuto guerre e terrore, ma ha prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. La Svizzera invece, 500 anni di democrazia e pace, che cosa ha prodotto? Solo l’orologio a cucù.» era la battuta.

Lasciando da parte le generalizzazioni campanilistiche (si sa che le battute migliori sono quelle che usano lo stereotipo per altri fini, e non hanno intenzione di alimentarlo), pensavo alla frase in questi giorni di “allarme Coronavirus”. La battuta infatti nasconde una triste verità, e cioè che i grandi cambiamenti, e soprattutto i migliori progressi della civiltà, sono spesso bagnati da sangue e tragedie.

In altre parole, l’uomo è pigro, e si smuove dall’abitudine e dal proprio quieto vivere nello status quo, solo se ne è costretto, a volte violentemente. Può essere quindi come l’asino che segue la carota dei grandi guadagni, o come chi scappa da un incendio con il fuoco alle spalle, ma difficilmente l’uomo correrà in assenza di carote o fuochi.

Ora dunque abbiamo un fuoco che si chiama COVID-19, che sta condizionando la nostra vita sociale, ma soprattutto economica. Impareremo qualcosa anche da questa esperienza? Forse sì.

Impareremo ad esempio che quei malefici aggeggi che teniamo in mano ogni giorno principalmente per postare sui social e chattare, possono sì servire ai lavoratori per lavorare da casa, ma anche alle scuole per fare lezione a distanza. Invece in questi giorni di scuole chiuse, ho visto professori disperati e impreparati che cercavano di capire come far funzionare una videoconferenza online, con esiti non sempre efficaci. E al di là che l’aggiornamento alle nuove tecnologie è cosa che ogni persona dovrebbe curare prima per sé stesso, non gliene voglio fare una colpa.

Manca infatti un coordinamento dall’alto che faccia capire che quello del lavoro a distanza non è neanche più il futuro, ma un presente che esiste in maniera performante e soddisfacente da anni, e con costi più che affrontabili ormai. Sarebbe dunque dovere dello Stato fare sì che i docenti sappiano già come usare un sistema di videoconferenza, e che ci siano programmi ministeriali appositi pensati per una lezione (e conseguente verifica) a distanza, giusto per non demandare tutto all’improvvisazione del singolo professore.

E, soprattutto, che non possano esistere studenti che non vi possano accedere, perché se l’acquisto di un certo tablet o uno smartphone alla moda è cosa che non deve interessare ad un governo, il fatto che possa esistere qualcuno escluso da questo nuovo modo di educare per mere questioni economico-sociali dovrebbe essere evitato, ma purtroppo mi rendo conto che sto parlando in una realtà che permette che ogni anno una spesa che si aggira tra i 200 e i 500 euro per i libri scolastici gravi sulle famiglie.

È solo un esempio di una cosa che spero impareremo da questa brutta esperienza, che era meglio evitare ovviamente, ma almeno cominciamo già a ragionare sulle possibili conseguenze positive.

Basterebbe prepararsi, essere pronti all’evenienza, e il mondo sociale ed economico non sarebbe costretto a bloccarsi completamente in casi drammatici come quello che stiamo vivendo, e anche i decreti che “chiudono tutto” ci sembreranno più sopportabili in ogni senso. Bisogna non essere pigri prima, che ci si guadagna dopo, o perlomeno ci si perde di meno. Vale per la scuola che ho preso ad esempio, ma vale per tutto.

redazione@varese7press.it