GEMONIO, 20 agosto 2020-Lo sconcertante destino di Vincenzo Giuliano Predolini, l’operaio transfrontaliero di Gemonio vittima di un infortunio sul lavoro l’11 febbraio scorso alla Trasfor SA, nel Canton Ticino
E’ morto per mostrare ai responsabili della sicurezza dell’azienda, che hanno filmato tutta la drammatica sequenza, il malfunzionamento di un macchinario, una piegatrice, che dava dei problemi, con lo scopo di renderlo più sicuro. Emergono particolari inquietanti dall’inchiesta sulla tragica morte bianca di Vincenzo Giuliano Predolini, l’operaio transfrontaliero di soli 44 anni, residente a Gemonio, nel Varesotto, rimasto vittima di un infortunio sul lavoro l’11 febbraio 2020 nello stabilimento della Trasfor SA di Molinazzo di Monteggio, nel Canton Ticino, in Svizzera: il quarantaquattrenne ha lasciato la moglie, che è assistita da Studio3A, una figlia di 12 anni e un figlioletto di due.
Il Procuratore Pubblico del Ministero Pubblico (l’omologo svizzero della Procura della Repubblica) del Cantone Ticino Paolo Fäh ha aperto un procedimento penale, al momento ancora contro ignoti, per il reato di omicidio colposo ed è coadiuvato nelle indagini dalla Polizia cantonale, che ha verbalizzato svariate testimonianze di dirigenti e colleghi di lavoro con altrettanti interrogatori e, tramite il Reparto Giudiziario, ha trasmesso a maggio il suo rapporto.
Il magistrato ha altresì disposto l’autopsia sulla salma del lavoratore per accertare le cause della morte e l’acquisizione della cartella clinica del suo breve ricovero all’ospedale civico di Lugano, dove Predolini è stato trasportato in condizioni disperate ed è spirato due ore dopo il fatto; ha raccolto tutta la documentazione relativa al rapporto di lavoro dell’operaio metalmeccanico, che era molto esperto, lavorava dal 2012 alla Trasfor, con ottime credenziali (era ritenuto affidabile, preciso e diligente) e aveva seguito numerosi corsi di aggiornamento e di arricchimento professionale, tra cui quello per condurre gru industriali, e anche specifici sulla tranciatura e la punzonatura e sull’uso e relativi pericoli delle piegatrici. Paolo Fäh ha poi acquisito tutte le direttive di sicurezza dell’azienda e ovviamente il manuale d’uso e manutenzione del macchinario “incriminato”, una piegatrice meccanica marca Apollo P400, che è stata posta sotto sequestro, prima sul posto e poi trasferita presso la Scientifica di Bellinzona. Ma, soprattutto, ha sequestrato un fondamentale video ripreso con il cellulare perché l’incidente è stato casualmente e interamente filmato.
La ricostruzione dei fatti è da brividi. Quel pomeriggio l’ex responsabile della sicurezza della Trasfor, che si occupa della costruzione di trasformatori destinati a mezzi di trasporto quali treni e navi, e la collega che lo aveva appena sostituito in tale mansione stavano effettuando un sopralluogo nel reparto di produzione per inventariare delle scale installate di recente, quando hanno notato che durante il processo di lavorazione su una punzonatrice l’addetto, un collega della vittima, rischiava di rimanere con la mano schiacciata, e così si sono fermati a discutere su come modificare il macchinario per migliorane la sicurezza, ad esempio con un bottone supplementare per arrestarlo. E’ stato allora che hanno chiesto un parere in merito a Predolini, che si trovava vicino a loro, il quale, già che c’era, li ha invitati a esaminare il funzionamento di un altro macchinario, la piegatrice Apollo P400 appunto, che a sua volta abbisognava, secondo l’operaio, e a ragione purtroppo, dell’adozione e applicazione di misure di sicurezza in più.
La dimostrazione, che è stata integralmente filmata con il cellulare dalla nuova responsabile della sicurezza proprio per studiare (troppo tardi) l’introduzione di correttivi, e che è iniziata poco dopo le 15, è infatti finita in tragedia. Predolini ha azionato il macchinario, prima a secco (senza cioè inserire alcun oggetto da piegare) e poi ha inserito una sbarra di alluminio dello spessore di 12 millimetri. La pressa ha iniziato la sua corsa schiacciando l’alluminio contro un perno che ne dà la forma finale, in questo caso doveva essere a 90 gradi, ma che improvvisamente si è spezzato colpendo l’addetto come un proiettile, unitamente alla sbarra, all’altezza dello sterno e dell’addome.
Il quarantaquattrenne all’inizio è rimasto in piedi accusando un dolore fortissimo ed è stato subito soccorso dai colleghi e dalla responsabile dell’infermeria, ma presto le sue condizioni sono precipitate. Faceva fatica a respirare, iniziava a perdere lucidità. Sono stati allertati i soccorsi e sono accorsi i sanitari della Croce Verde di Lugano che hanno quasi subito iniziato il massaggio cardiaco perché Predolini, poco dopo il loro arrivo, è andato in arresto. Trasportato da una squadra della “Rega” per l’elitrasporto all’ospedale regionale di Lugano, l’operaio è morto alle 17 di quello stesso 11 febbraio, in sala operatoria, mentre i medici lo sottoponevano a laparotomia d’urgenza. Decesso dovuto allo “shock emorragico acuto per le molteplici lacerazioni epatiche conseguenti al trauma toracico-addominale, ad alta energia, occorsogli durante l’attività lavorativa”, ha concluso il medico legale, dott.ssa Luisa Andrello, a cui il Procuratore Pubblico ha affidato la perizia autoptica e che ha anche escluso, attraverso gli esami tossicologici, che la vittima avesse assunto sostanze stupefacenti o psicotrope: aveva bevuto solo caffè.
Una dinamica che evidenzia già palesi responsabilità in capo all’azienda, al di là della posizione non corretta dell’operaio, che avrebbe dovuto operare lateralmente rispetto al macchinario e non frontalmente, cosa che però ha fatto sotto gli occhi dei responsabili della sicurezza della ditta, i quali avrebbero potuto e dovuto correggerne la posizione: non a caso gli ispettori del reparto giudiziario della Polizia cantonale nel loro rapporto hanno caldeggiato al Procuratore un’attenta valutazione di questa circostanza.
Ma è soprattutto attorno alla piegatrice che si concentrano le maggiori perplessità e anche i dubbi degli inquirenti. Un macchinario che, come si è potuto evincere, era usato poco e solo da un paio di addetti, tra cui appunto Predolini, e che proprio per questo suo scarso utilizzo veniva controllato soltanto da chi lo usava e non dai responsabili della manutenzione dell’impresa, al punto che non è mai stato tenuto un diario delle manutenzioni e non ve n’erano in programma.
Ma oltre a ciò andrà appurato se e chi abbia manomesso la piegatrice, perché Predolini, probabilmente inconsapevolmente, l’ha utilizzata con innestato un programma sbagliato, per la piegatura di un materiale dello spessore di 6 millimetri e non di 12. Sarebbe accaduto che la pressa, impostata per un avanzamento maggiore di 10,2 mm rispetto a quanto necessario per la piegatura di uno spessore di 12 millimetri, avrebbe continuato la pressione cercando di arrivare allo spessore impostato, quello appunto per una lamiera di spessore inferiore; una volta giunta in battuta non si sarebbe pertanto fermata spezzando il perno, fermo restando però che in ogni caso il macchinario avrebbe dovuto avere un sistema di sicurezza tale da fermare il pistone e far arretrare la pressa in caso di mal funzionamento o di pressioni troppo elevate: sistema di sicurezza che o non c’era o non si è attivato. Per inciso, gli inquirenti hanno notato nel macchinario anche un “ponte elettrico” nella centralina, dispositivo abitualmente utilizzato per bypassare e spegnere una spia di sicurezza, nello specifico quella relativa ai pressostati, in modo da velocizzare il lavoro.
E’ chiaro che sarà fondamentale un accertamento ad hoc sul macchinario, auspicato dagli stessi agenti della Polizia cantonale, per stabilire l’effettiva manomissione e verificare se tali modifiche fossero conformi e se avessero effettivamente lo scopo di eludere le sicurezze della piegatrice. Sarà questo il prossimo e decisivo passo dell’inchiesta, con l’affidamento da parte del Procuratore Fäh a un esperto di una perizia tecnica sulla piegatrice. Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, a cui i familiari della vittima, attraverso l’Area Manager Riccardo Vizzi, si sono rivolti per ottenere verità e giustizia, sta monitorando da vicino, anche con la collaborazione di un legale del posto, l’evolversi delle indagini preliminari e metterà a disposizione un proprio consulente tecnico di parte sia nel contraddittorio per formulare i quesiti da porre al Ctu sia, poi, per partecipare nel concreto alle operazioni peritali sulla macchina.
Studio3A inoltre, attraverso i propri liquidatori, ha già chiesto le coperture assicurative e avviato un confronto con la Trasfor per ottenere un rapido e congruo risarcimento per i propri assistiti, che mai come in questo caso non è un “capriccio”, essendo di fronte a una vedova con due figli minori che, oltre a chiedere giustizia, è rimasta da sola a mandare avanti la sua famiglia e ha bisogno di tutto il sostegno, anche economico, possibile.