VARESE, 3 settembre 2020 – “Il 50% del mais è perduto. Raccogliere? Non so nemmeno se ci riusciremo, manca meno di una settimana ma se le invasioni continueranno sarà impossibile. E’ un tunnel dal quale non si vede alcuna via d’uscita”. La testimonianza di Camillo Berti è drammatica, le foto che ritraggono i suoi campi di granturco (a Taino, su una superficie di circa 9 ettari) lo confermano: i cinghiali hanno distrutto ampie porzioni dei suoi appezzamenti, facendo letteralmente terra bruciata. Perdite a quattro zeri e, soprattutto, lo sconforto che già negli anni scorsi ha portato l’agricoltore “a dotarsi delle opportune licenze per contribuire in prima persona alla selezione. Una beffa ulteriore, dato che mi tocca pagare una somma annua senza trarne, di fatto, alcun beneficio, anche per colpa delle limitazioni che hanno sempre contingentato la possibilità di cacciare questi animali… ma ormai si tratta di migliaia di capi fuori controllo che continuano a invadere il territorio. Così non è più possibile andare avanti”.
Una lotta quotidiana “a guardie e ladri”, con i cinghiali che si rifugiano nelle brughiere e di notte escono a devastare i campi. Ma il problema non è circoscritto e riguarda, di fatto, l’intera provincia di Varese dove si moltiplicano danni e segnalazioni “che – come afferma il presidente di Coldiretti Varese Fernando Fiori – giungono nei nostri uffici con frequenza quotidiana. Gli strumenti a disposizione vanno utilizzati tutti, le istituzioni devono rispondere coi fatti per contenere una problematica che sta provocando danni enormi all’agricoltura, minacciando anche la sostenibilità degli ecosistemi. Le imprese agricole sono esasperate e, senza la loro presenza di presidio sul territorio, esso è destinato all’abbandono”.
Un bollettino di guerra che, negli ultimi mesi, ha evidenziato scenari mai visti: dai prati “bombardati” di Induno Olona, dove gli ungulati hanno continuato a dissodare i terreni, lasciando la visione di un vero e proprio campo di battaglia a quelli devastati in Valcuvia, dove le imprese sono state costrette a riseminare tre volte il mais, e non è nemmeno bastato ad evitare perdite di raccolto con percentuali a due cifre. Ma il problema copre, per intero, l’ambito provinciale.
Il risultato? Perdite a raffica per le imprese, in particolare per quanto riguarda la filiera zootecnica: alla necessità di riacquistare il seme e sistemare i fondi, si unisce anche la beffa di dover acquistare esternamente quanto necessario per alimentare gli animali.