Vaccini e ricerca: a che punto siamo? Ritardi e dubbi iniziano a sfiduciare le persone

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VARESE, 9 ottobre 2020-Poche settimane fa, lo studio clinico in corso nel Regno Unito su uno dei candidati di punta, un vaccino sviluppato dall’Università di Oxford con la società farmaceutica AstraZeneca, è ripreso dopo una pausa di sei giorni dovuta alla necessità di indagare in modo approfondito su un problema relativo alla sua sicurezza.
Anche i trial sullo stesso vaccino in corso in Sudafrica e in Brasile erano stati bloccati ma poi sono ripartiti, mentre la Food and Drug Administration degli Stati Uniti (FDA) non ha ancora consentito la ripresa delle sperimentazioni negli Stati Uniti. I dettagli rivelati finora dagli sponsor di questi studi sui motivi dell’interruzione e sul perché ne è stata consentita la ripresa sono pochi. Alcuni scienziati dicono che questa mancanza di trasparenza potrebbe erodere la fiducia del pubblico nel vaccino.

In ciascuno degli attuali trial clinici di fase III si stanno arruolando diverse decine di migliaia di partecipanti. Ma una sperimentazione per stabilire se un vaccino riduce l’incidenza dei casi gravi di COVID-19 dovrebbe arruolarne di più, e quindi richiederebbe più tempo, dice Thomas Lumley, biostatistico all’Università di Aukland, in Nuova Zelanda. Gli studi in corso hanno scelto una via di mezzo tra stabilire se i vaccini prevengono del tutto l’infezione e vedere se prevengono la forma grave della malattia, dice.

L’obiettivo delle aziende è un vaccino che impedisca lo sviluppo dei sintomi del COVID-19 in almeno il 50 per cento delle persone che lo ricevono – la definizione di successo secondo le linee guida della FDA – ma sperano di arrivare a un’efficacia almeno pari al 60 per cento.

Anche il 60 per cento, però, non basterebbe per raggiungere l’immunità di gregge, la situazione in cui la percentuale della popolazione immune grazie al vaccino è sufficientemente alta da bloccare la diffusione della malattia, dice Lumley. Per arrivare a quell’obiettivo, il vaccino dovrebbe avere un’efficacia almeno dell’80 per cento, poiché non tutti gli individui della popolazione lo riceveranno, dice MacIntyre.

Tuttavia, vaccinare un’ampia frazione della popolazione con uno di questi vaccini darebbe comunque un grosso contributo al controllo della diffusione del virus se andasse ad affiancarsi ad altri interventi, come l’uso delle mascherine e il tracciamento dei contatti, dice Lumley. “Un vaccino di modesta efficacia sarebbe già un grosso aiuto”, dice.

La fiducia del pubblico nei vaccini contro il coronavirus sta già vacillando, in particolare negli Stati Uniti, dove Trump reclamizza spesso il suo programma di sviluppo accelerato del vaccino, “Operation Warp Speed”. In questo mare di parole, il 17 settembre il Pew Research Center di Washington ha detto che nei sondaggi la proporzione degli statunitensi adulti che probabilmente accetterebbero un vaccino contro il COVID-19 se fosse disponibile, era caduta, da maggio a settembre, dal 72 al 51 per cento. Tre quarti delle persone intervistate a settembre ritenevano che gli Stati Uniti avrebbero approvato un vaccino prima che la sua sicurezza e la sua efficacia fossero stabilite in modo ben solido.

(Questa una parte dell’articolo pubblicato su “Nature” il 25 settembre 2020. Editing a cura di Le Scienze.it)