Valentina infermiera all’Ospedale di Circolo: ” Lavoro ogni giorno con pazienti Covid tra paure e mille difficoltá ma sempre con il sorriso”

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VARESE, 17 novembre 2020- di GIANNI BERALDO-

Lei è Valentina Buzzi, infermiera varesina di 35 anni dipendente dell’Ospedale di Circolo. Valentina, come tutte le sue colleghe e colleghi, ogni giorno è in prima linea in uno dei reparti (quasi tutti oramai) destinati alla cura pazienti Covid.

Non nasconde di avere anche un pó di paura Valentina, anch’essa del Covid ne è rimasta vittima in modo lieve (così come purtroppo gran parte degli operatori sanitari che trattano pazienti Covid) rimanendo in quarantena come da protocollo.

Valentina ama il suo lavoro, quello di curare i pazienti che spesso hanno bisogna di

Valentina Buzzi dopo un turno di lavoro

conforto magari anche con un semplice sorriso: per questo il suo lavoro non lo cambierebbe per nulla al mondo nonostante i rischi.

In  sei anni di lavoro all’Ospedale di Circolo (il suo reparto di appartenenza è la Chirurgia oncologica e Urologia, ndr) ovviamente non si era mai trovata al cospetto di una simile situazione, affrontando la prima ondata pandemica a partire dalla scorso mese di marzo con le ”semplici” conoscenze di base, da applicare secondo precise indicazioni mediche cercando di arginare in qualche modo il fenomeno epidemiologico.

Ora le cose sono cambiate. Reparti ancora pieni ma maggiore consapevolezza che molte cure risultano efficaci su pazienti meno gravi.

Tra i cambiamenti anche la percezione che gli infermieri come Valentina da eroi siano divenuti ”complici del sistema” quello che, secondo i negazionisti, coprirebbe la verità: ossia che il Covid-19 e suoi nefasti effetti siano solo una montatura mediatica e politica.

Questo è troppo. Così Valentina decide di pubblicare sul suo profilo Facebook un lungo post indirizzato proprio a loro, ai negazionisti, cercando di spiegare la realtà, quella della loro lotta quotidiana per salvare vite umane, della loro umanità, del loro stress psicologico e sofferenza al cospetto di una situazione quasi surreale ma purtroppo vera.

A noi quel post ha colpito molto per la sua efficacia comunicativa, per questo abbiamo contattato la stessa Valentina facendogli raccontare come sta vivendo a livello umano e professionale questa situazione.

Infermieri e medici impegnati nell’assistenza a paziente Covid

Senta Valentina le sue esternazioni contro i negazionisti sono parole forti ma molto riflessive

Stavo finendo il turno di notte in reparto Covi (ogni turno è di 12 ore!, ndr) e mi sono imbattuta in alcuni commenti di questi negazionsti e ripensando al turno, ai pazienti alla sofferenza che vediamo tutti i giorni nei reparti, ho deciso di replicare con questa ”dedica”. Mi sono veramente stancata di sentire e leggere queste affermazioni senza alcun fondamento oltre alle accuse che ci vengono rivolte in questo periodo e che fanno male.

Ogni giorno cosa accade in reparto, come vi muovete contro questo virus?

Fondamentalmente nel nostro reparto, che non è la terapia intensiva, assistiamo pazienti quasi tutti coscienti affetti da polmoniti causate da Covid con insufficienze respiratorie abbastanza stabili. Poi ci sono pazienti più critici che hanno bisogno del casco Cpap, altri con maschere per l’ossigeno terapia: tutti pazienti che comunque necessitano di assistenza ad alta intensità e non vi sono pazienti più autonomi rispetto ad altri. A questo proposito vorrei aggiungere che un’altra cosa che mi ha fatto davvero arrabbiare, ossia quello che nei reparti muoiono solo persone anziane quando noi in reparto ad esempio abbiamo gente di 50 anni magari senza nessuna patologia e in buona salute, ma in situazione abbastanza critica.

Situazioni immaginiamo difficili da affrontare anche sotto il profilo psicologico

Guardi uno degli aspetti che mi tocca, così come a tutti i miei colleghi, è la solitudine in cui si trovano questi pazienti perché i parenti non possono fare visita nei reparti Covid con tanti anziani soli e spesso disorientati. Per non parlare di quei pazienti che purtroppo muoiono soli e senza possibilità di salutare o vedere per l’ultima volta i propri cari. Sì, ammetto è molto pesante come situazione anche a livello psicologico.

Valentina in borghese

Nei confronti dei parenti che meccanismi relazionali scattano?

I parenti vengono informati quotidianamente dai nostri medici per cui sono aggiornati sul loro stato di salute. É una situazione molto difficile in quanto più di quello non possiamo garantire. Non è facile, è una situazione nuova quindi mai affrontata prima visto che da noi il parente è sempre stato molto presente, insomma è veramente drammatica.

Lei come altri suoi colleghi siete stati trasferiti dal vostro reparto di appartenenza all’Hub Covid

Sì come tutti d’altronde considerata l’emergenza. Tra l’altro un altro punto toccato dai negazionsti è proprio quello di accusarci di penalizzare le altre patologie a favore dei pazienti Covid. La gente forse non ha ancora compreso che essendovi un altissimo tasso di ricoveri Covid, siamo stati costretti a chiudere posti destinati ad altre patologie per poter trattare questi pazienti. Non possiamo mandare a casa persone che giungono in Pronto Soccorso in situazioni critiche, dobbiamo ricoverarli e i posti disponibili sono quelli. Gli interventi di urgenza vengono comunque effettuati così come vi sono pochi posti riservati ad altre patologie- i cosiddetti reparti ”puliti”-anch’essi completamente pieni.

Ma esiste qualche terapia da adottare per pazienti Covid?

Diciamo che si cerca di trattare il sintomo con trattamenti come ad esempio il cortisone in caso di febbre, in realtà a oggi non esiste ancora una cura mirata pur cercando di migliorare la situazione con i farmaci che abbiamo ma disposizione. Per la cura fa tanto la risposta probabilmente dell’organismo di ogni singolo paziente. Vi è ancora molto da studiare su questo virus, speriamo vi siano miglioramenti in tempi rapidi.

INTERVISTA AUDIO COMPLETA

 

Avete svolto una formazione specifica per affrontare malati Covid?

A marzo e aprile ci siamo ritrovati buttai in questa realtà senza avere il tempo di avere informazioni, in questi mesi quasi tutti abbiamo seguito dei corsi di formazione specifici per cui rispetto a prima ora siamo píú preparati ad affrontare il problema. Come sempre conta anche l’esperienza.

Tra voi infermieri molti i casi di positività al Covid

Io sono una di quelli. Sono guarita facendo 20 giorni di isolamento domiciliare fortunatamente senza sintomi gravi e senza problemi respiratori. Certamente vi sono e vi sono stati molti medici, infermieri e oss positivi, questo è un grande problema.

Quale la procedura da adottare in caso di positività da parte di qualcuno del

Valentina con un collega di reparto

personale sanitario?

Ci facciamo i dieci giorni di quarantena con controllo successivo alla loro scadenza sempre effettuando un tampone. In caso di positività si effettua un altro tampone di controllo fino ad arrivare ad avere un tampone negativo: a questo punto si avrà l’ok per riprendere a lavorare.

Lei ha già alle spalle una certa esperienza lavorativa ma i giovani infermieri neo assunti come affrontano questa nuova situazione?

Essendo una nuova situazione direi che tutti siamo sulla stessa barca. Cerchiamo di venirci incontro come facciamo sempre con i neo assunti, dandoci una mano a vicenda.

Per lei fare l’infermiera è stata una professione di ripiego oppure è sempre stata determinata a fare questo come professione?

No ero decisa fin da subito! E’ stata una scelta consapevolissima.

Ha paura quando ogni giorno deve affrontare questa emergenza Covid?

Un pó di paura c’è sempre, certamente meno rispetto a prima perché forse siamo un pochino più ”sgamati”. Soprattutto abbiamo paura di contagiare le persone che sono a casa, i nostri familiari. Per quanto mi riguarda il mio pensiero è quello.

Nel suo post lei rileva come da eroi vi siate trasformati in untori da additare: una delle cose più brutte che si possano esprimere.

Esatto, questa è una delle cose che ci fa più male. Noi facciamo il nostro lavoro per aiutare la gente, certamente non per lo stipendio (tra i più bassi in Europa a livello di professioni infermieristiche, ndr) come tanti affermano. Sentirsi dire che potremmo essere noi la causa di trasmissione virus nei luoghi dove abitiamo infettando tutto il vicinato, non mi pare sia il massimo.

Senta i DPI (Dispositivi protezione individuale) e altro materiale protettivo ora sono sufficienti?

Diciamo che la prima ondata di marzo aveva preso tutti alla sprovvista e qualche problema con i dpi l’abbiamo avuto, ora siamo a posto.

Cosa vorrebbe dire a quella gente che ancora oggi non ha la percezione della gravità della situazione.

Innanzitutto consiglierei loro di adottare quei criteri standard di prevenzione come distanza, lavarsi bene le mani e mascherina protettiva, ossia le regole che sentiamo tutti i giorni. Non è facile far cambiare opinione a quelle persone che non percepiscono la gravità. Difficile fargli cambiare idea rispetto al dramma che stiamo vivendo. Poi ci si mette anche la stampa a volte fotografando filmando Pronto Soccorso vuoti, senza capire che come in realtà funzionino in questo periodo adottando due percorsi diversi: uno per pazienti Covid l’altro riservato a tutti gli atri tipi di accesso. Ovvio che in questo periodo il ‘percorso pulito” sia quasi deserto anche per paura da parte della gente. Il percorso Covid invece è tutt’altro che vuoto. Insomma in questi casi non si ha proprio la percezione di come sia la realtà. Non è facile far capire a queste persone che gli ospedali non sono vuoti.

Faccia un appello ai chi dubita seppur poco convinto e un altro ai negazionisti

Nuova segnalazione percorsi Covid all’ospedale di Circolo

dando loro dei consigli

Gli direi di provare a capire quale sia veramente la situazione, di parlare con chi lavora in ospedale e con chi ha avuto parenti o amici malati ricoverati per Covid cercando di capire qual’é veramente la realtà. Nei confronti dei negazionisti provo tanta rabbia, a volte pure rassegnazione pensando di scontrarsi contro un muro non riuscendo ad abbatterlo. Fortunatamente sono la minoranza delle persone altrimenti non so come ne usciremmo da questa situazione.

Cosa la spinge ogni giorno ad affrontare un lavoro difficile seppur umanamente gratificante come il suo?

In momenti di sconforto mi ritrovo a pensare ”chi me lo ha fatto fare di scegliere questo lavoro”, poi arrivo in ospedale e capisco che non potrei fare nessun altro lavoro. E’ quello che voglio fare e che mi piace fare. Che vi sia una pandemia in corso oppure un periodo tranquillissimo la motivazione è sempre quella. Io non mi vedrei in nessun altro ruolo se non quello di aiutare le persone che stanno male.

Valentina noi le facciamo tanti auguri per il suo futuro e la ringraziamo per il grande e fondamentale lavoro che state svolgendo per tutti noi.

Grazie a voi per l’attenzione.

direttore@varese7press.it