MILANO, 12 gennaio 2023. Si è spenta ieri all’età di 103 anni Marcella Pedone, la prima fotografa freelance italiana.
Vissuta a cavallo di due secoli, Pedone è stata una pioniera che, lottando contro pregiudizi e stereotipi in un campo all’epoca completamente maschile, è stata testimone dell’evoluzione del Paese, integrandosi tra pescatori e contadini, avventurandosi in fabbriche e cantieri, scalando montagne e spingendosi nelle profondità delle miniere per documentare mondi oggi spariti o profondamente trasformati.
Nel 2017 la fotografa ha donato al Museo la sua banca immagini di 170.000 scatti accumulati in oltre cinquanta anni di attività, insieme alle macchine fotografiche Rolleiflex, Hasselblad, Mamya e Nikon utilizzate per produrli in oltre cinquanta anni di lavoro. La sua collezione e la sua vita sono da allora diventate oggetto di indagine da parte del Museo e del mondo accademico.
“Marcella Pedone ha anticipato di decenni, con la sua vita personale e professionale, principi che si sono consolidati nella nostra società e costituiscono una fertile visione anche
Il suo lavoro ha saputo dare un volto, storicamente e artisticamente valido, ai momenti evolutivi del contesto sociale e ambientale italiano nella seconda metà del Novecento. L’obiettivo del Museo è quello di valorizzarlo attraverso lo studio e l’educazione alla cultura visiva. Nel 2021 ha organizzato nei suoi spazi la prima monografica di Marcella Pedone, dedicata al mondo reale e leggendario delle Dolomiti.
MARCELLA PEDONE – LA BIOGRAFIA
Di famiglia toscana ma milanese d’adozione, Marcella Pedone nasce a Roma il 27 aprile 1919.
Dopo aver studiato Lingue a Venezia, viaggia per l’Europa nell’immediato dopoguerra per approfondire il tedesco e le lingue scandinave. In Germania comincia infatti a fotografare e a formarsi professionalmente come reporter, lavorando poi per conto di case produttrici di apparecchi fotografici e pellicole (Rolleiflex e Ferrania) e tenendo conferenze foto-cinematografiche sull’Italia nel circuito delle Università popolari tedesche, le Volkshochschulen. Per loro organizza proiezioni dei propri scatti accompagnate da canti popolari, che presentano al pubblico tedesco un’Italia in gran parte sconosciuta: un paese prevalentemente preindustriale in via di trasformazione, “raffinato e insieme arcaico”. Il successo le regala una discreta notorietà e la collaborazione con la più importante agenzia fotografica tedesca: la Bavaria.
Tornata in Italia, avvia una collaborazione con Ferrania, che le affida la sperimentazione e la promozione della sua pellicola a colori: fotografica ma anche cinematografica in 16 mm, che lei testa in diverse condizioni di luce. Dotata di una cinepresa Bell&Howell e libera nella scelta dei soggetti, Marcella Pedone entra in quegli anni nel mondo prettamente maschile della produzione documentaria.
Sola, a bordo della inseparabile roulotte, Marcella Pedone percorre l’Italia in un arco temporale che parte dal dopoguerra ed arriva agli anni più recenti, inerpicandosi su montagne, vivendo tra pescatori e contadini, calandosi nelle miniere e avventurandosi in fabbriche e cantieri per comporre una biografia per immagini in cui natura, società, ambiente, feste, tradizioni, documentano la trasformazione del Paese da società agricola a realtà industriale. Marcella Pedone racconta innanzitutto un’Italia minore, ai cui riti collettivi riconosce un forte valore identitario: la sua descrizione delle manifestazioni legate alla cultura popolare, che osserva con attenzione etnografica, costituisce spesso l’ultima testimonianza di usanze ormai scomparse. I suoi soggetti comprendono paesaggi di tutta Italia e anche di paesi esteri, documentando spesso scenari pre-industriali, come avviene per i mestieri e processi tradizionali della penisola. Pedone ha realizzato reportage sui cavatori di marmo di Carrara, i fonditori di campane in Abruzzo, le miniere di zolfo in Sicilia, le mondine al lavoro nei campi di riso oltre ad aver interpretato, con scatti suggestivi di paesaggi dolomitici, la mitologia popolare alpina. Anche la produzione cinematografica si muove tra documentazione etnografica e cinema industriale, documentando riti, modi di vivere e lavorare dell’Italia del secondo dopoguerra.
Dopo il fallimento di Ferrania, Pedone intraprende una carriera autonoma e, priva del sostegno economico e produttivo di grandi aziende, si ritaglia un proprio spazio nel settore dell’editoria divulgativa e scolastica, creando una fornitissima banca di immagini, in cui fosse possibile scegliere i migliori soggetti per i vari prodotti editoriali. La vocazione didattica della sua opera proseguirà infatti con lavori per conto di Aristea, Loescher, De Agostini.
LA COLLEZIONE DONATA AL MUSEO
Nel 2017 Pedone ha donato al Museo la sua banca immagini di 170.000 scatti accumulati in oltre cinquanta anni di attività, insieme alle macchine fotografiche Rolleiflex, Hasselblad, Mamya e Nikon utilizzate per produrli in oltre cinquanta anni di lavoro.
La collezione di Marcella Pedone si presenta con un carattere di organicità eccezionale, per la sua completezza nel testimoniare la professione fotografica documentaristica.
Tra gli elementi donati al Museo spicca il “negozio-archivio” di 170.000 scatti, ma sono stati acquisiti anche sette corpi macchina, tredici obiettivi, diversi set di accessori (cavalletti, lampeggiatori, borse professionali e filtri). La raccolta è completata da attrezzatura per la ricerca sul campo (magnetofoni e microfoni) e per la presentazione pubblica dei materiali (proiettori per pellicole e diapositive, teli e amplificatori).
La collezione mostra bene come la storia della fotografia non possa essere ridotta alla sola storia degli oggetti iconografici, delle ‘fotografie’; né, viceversa, alla mera storia della tecnologia, delle ‘macchine’. La cultura materiale della tecnica fotografica, la poetica dell’autrice, la sua prassi lavorativa e il contesto storico-sociale in cui si è svolta, sono tutte parti di un unico sistema.
L’insieme rivela inoltre informazioni preziose anche su altre storie: la condizione femminile nell’industria culturale, l’editoria scolastica e educativa, la scienza in pubblico (in questo caso l’etnografia ‘popolare’ delle Volkhochschulen) e la cine-fotografia didattica nel secondo dopoguerra.
Come racconta lei stessa, Marcella Pedone si era dotata degli strumenti di produzione che nel suo orizzonte di lavoro, il mercato editoriale scolastico e turistico, “erano il meglio”: per la loro qualità manifatturiera, ma anche per il prestigio professionale collegato. Pedone ha continuamente aggiornato la sua dotazione in funzione dell’evoluzione della tecnologia e delle richieste del mercato, oltre che della propria personale poetica. Nella collezione troviamo macchine come la Rolleiflex 3,5A (1951), la Mamya Super 23 (1968) la Hasselblad 500C (1967-80), la Nikon F1 (1971-74), con i relativi set di obbiettivi e accessori. La conquista e il mantenimento della strumentazione professionale avevano costi rilevanti: l’acquisto del set Hasselblad comportò negli anni ’60 una spesa di circa 35 milioni di lire (l’equivalente di circa 350.000 euro).
La collezione permette di osservare in dettaglio come era fatta la ‘bottega viaggiante’ di una fotografa documentarista freelance nel secondo dopoguerra. La sua acquisizione rimanda ad una tradizione del Museo, che sin dalle origini accosta agli ambiti produttivi industriali su larga scala la ricostruzione di botteghe artigiane in diversi settori, a testimoniare la varietà delle situazioni storiche in cui opera l’homo faber.
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