VARESE, 20 gennaio 2023- Brusca frenata per l’auto elettrica: nel 2022 in Italia se ne sono vendute il 26,5%, con una quota di mercato totale del 4,3%. Soprattutto perché le auto elettriche costano carissime (per i modelli medio-bassi il prezzo è praticamente doppio). Ma anche perché mancano le colonnine di ricarica, condannando l’incauto acquirente alla continua paura di restare a piedi. E perché l’energia è sempre più cara, come è ben noto. Insomma, la decisione dell’Unione Europea (su spinta tedesca) di imporre dall’alto un brusco cambio di paradigma (tra l’altro senza sensibili effetti ambientali, anzi c’è chi dice che nel loro complesso questi motori inquinano ben di più dei pulitissimi diesel euro 6) si sta manifestando sempre di più per quello che è: un suicidio industriale.
Una brutta botta per il principale settore industriale europeo, che dà da vivere a milioni di persone. E un assist per la nascente industria automobilistica cinese, che sta sbarcando in massa in Europa con nomi che oggi conoscono in pochi: Great Wall Motors, Ayways, Mg (già britannica), Saic Maxus, e altri. È una lotta impari, e lo era fin dall’inizio. Da parte loro, i Cinesi hanno: tecnologie più avanzate, macchine dotate di più autonomia, materie prime, componentistica specializzata e proprietà intellettuale. Non stupisce che saranno in grado di portare sul mercato auto green al costo di 15mila euro, mentre le Case europee con difficoltà riusciranno a scendere sotto i 30mila euro.
Uno dei Paesi paradigmatici di questo disastro è l’Italia. Qui l’auto green non la vuole quasi nessuno. Come si diceva, le auto elettriche hanno una quota del 4,3% e le immatricolazioni sono diminuite del 26,5% nel 2022, mentre le ibride plug-in sono calate del 6% e rappresentano il 5,2% delle immatricolazioni dello scorso dicembre. Non la vuole il privato, che con gli stessi soldi si compra una macchina decente endotermica; non la vuole l’azienda, neppure in affitto, perché quello di una 500 elettrica è più o meno equivalente a quello di una grossa Bmw a combustibile fossile. Peraltro, dato il costo dell’energia elettrica, oggi una “ricarica” costa anche più di un “pieno”. Perciò, il piano di incentivi 2023 all’acquisto di nuove auto a zero e a basse emissioni – 575 milioni di euro suddivisi nelle fasce 0-20, 21-60 e 61-135 g/km di CO2, prenotabili già dal 10 gennaio – rappresenta soltanto un “suicidio assistito” per la filiera continentale dell’automotive.
È una partita in cui hanno perso tutti i protagonisti: le grandi Case europee, che hanno investito fior di miliardi in piattaforme green e che non vedranno mai un Roi – e che pertanto rischiano il fallimento; i lavoratori degli Oem, che secondo lo stesso Tavares rischiano di rimanere a casa in gran numero; i componentisti auto (che in Italia rappresentano 40 miliardi di fatturato) destinati ad essere soppiantati da quelli cinesi, detentori di proprietà intellettuale specifica; e l’utente finale, che si sente spennato da decisioni prese dall’alto e che sempre meno capisce le ragioni della causa green, visto che l’Italia produce lo 0,6% (228 milioni di tonnellate su 37 miliardi) delle emissioni globali di CO2, mentre la Cina (11,5 miliardi di tonnellate, il 31%) e l’India (2,6 miliardi, pari al 7%) se ne infischiano delle questioni ambientali. Inquinano sempre di più. E anzi, l’India ha superato l’intera Europa a 27 (2,5 miliardi, pari al 6,7%). D’altra parte, India e Cina sono Paesi dove l’infelice eroina Greta Thunberg non va; e che investono i propri soldi non in cappotti termici, ma in R&D, creando le condizioni per il proprio vantaggio competitivo al fine del deragliamento delle filiere industriali europee.
Cosa si può fare? L’idea migliore sarebbe quella di tornare a investire sul diesel Euro 7, che peraltro nel ciclo vita inquina molto meno dell’auto green (i “villaggi del cancro” cinesi, quelli dovuti agli stagni di lisciviazione tossico-radioattivi legati all’estrazione di terre rare, sono irreversibili, dice l’università di Harvard). Ma se si arriverà a questo, sarà soltanto in extremis, perché costretti. Ne abbiamo parlato con Laura Gobbini, Project manager & Data Analyst di Dataforce (società di analisi di mercato con quartier generale a Francoforte sul Meno e che opera a livello internazionale, fornendo all’industria automobilistica informazioni concernenti le flotte e, più in generale, i vari canali di vendita presenti sui mercati) Italia. (fonte industriaitaliana.it)