VARESE, 28 dicembre 2024-Durante un’intervista a Radio Cusano Campus, nella trasmissione Greenwich, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha commentato l’arresto della giornalista Cecilia Sala, attualmente detenuta nel carcere di Evin, a nord di Teheran.
Il ritardo nella notizia dell’arresto: “Silenzio più adatto a trattive con gruppo criminale, non al dialogo con uno stato”
Rispondendo alla domanda sul perché la notizia dell’arresto sia stata resa pubblica solo otto giorni dopo, Noury ha chiarito:
“La riservatezza iniziale è parte della strategia delle autorità che interloquiscono con lo Stato coinvolto. È probabile che, d’accordo con i familiari e le testate per cui lavora Cecilia, si sia deciso di mantenere il riserbo iniziale. Tuttavia, ora che la vicenda è pubblica, è difficile accettare il silenzio stampa su un caso che coinvolge una giornalista. Mi permetto di dissentire dalle dichiarazioni del ministro Crosetto: l’idea che non servano mobilitazioni della società civile, ma solo una diplomazia silenziosa, mi sembra più adatta a un negoziato con un gruppo criminale che non a un confronto con uno Stato sovrano.“
“Un carcere terribile”
Noury ha descritto il carcere di Evin come uno dei più duri dell’Iran:
“È una prigione terribile che Amnesty tiene d’occhio da anni, nota per i casi di tortura nei confronti dei detenuti. È lo stesso carcere da cui è recentemente uscita, per un permesso medico, la Premio Nobel Narges Mohammadi. Inoltre, Evin si è riempito di persone arrestate durante le manifestazioni del movimento ‘Donna, Vita, Libertà’. Ora c’è anche Cecilia Sala, così come in passato c’era stata Alessia Piperno. Finire in quel carcere non tranquillizza, poiché è il luogo dove vengono portate persone accusate di reati gravi, anche se nel caso della giornalista italiana non è ancora stata formulata alcuna accusa ufficiale”.
Iran: il reato è peccato, e il peccato è reato
Noury ha evidenziato come il sistema giudiziario iraniano sia fortemente influenzato dalla Sharia, con accuse spesso vaghe e arbitrarie:
“L’Iran è un Paese in cui reato e peccato coincidono. È una teocrazia governata secondo la Sharia, e questo porta a reati dai nomi inverosimili come ‘corruzione sulla Terra’ o ‘guerra contro Dio’, accuse che possono essere attribuite a qualsiasi comportamento ritenuto una minaccia alla sicurezza nazionale. Accuse così generiche rendono difficile difendersi. È un contesto in cui anche gesti simbolici, come quelli di una madre e una figlia che distribuivano fiori in memoria di Masha Amini, possono portare all’arresto”.
Sul caso di Cecilia Sala, Noury ha spiegato:
“Le autorità iraniane parlano di ‘comportamento inappropriato’, ma non è chiaro cosa significhi. Potrebbe essere legato alla sua attività giornalistica, che include reportage sulla condizione delle donne in Iran, o a qualcos’altro. Rimane il fatto che non esistono accuse formali e la sua detenzione è avvolta da opacità.”
Le condizioni di detenzione e il caso Alessia Piperno
Noury ha ricordato il caso di Alessia Piperno, arrestata a Teheran nel 2022, parlando delle condizioni di detenzione nel carcere di Evin:
“Le violenze psicologiche sono comuni, soprattutto in isolamento. Detenute che stanno insieme riescono spesso a sostenersi a vicenda, ma l’isolamento, con luci sempre accese e videosorveglianza continua, è una forma di tortura psicologica. È una condizione che può far sentire completamente soli contro il mondo.”
Le prossime azioni necessarie
Per ottenere la liberazione di Cecilia Sala, Noury ha sottolineato l’importanza di un intervento deciso:
“Bisogna convocare l’ambasciatore iraniano a Roma e ribadire non solo la preoccupazione per una connazionale, ma anche il rimprovero: è stata arrestata una giornalista con regolare visto, impegnata nel suo lavoro. Serve un dialogo fermo e trasparente. Non possiamo accettare che Cecilia diventi una pedina di scambio, come si vocifera possa accadere con il caso di un soggetto arrestato a Malpensa e richiesto dagli Stati Uniti. Questa logica di trattativa trasformerebbe una questione diplomatica in un negoziato, qualcosa che dovrebbe far riflettere e indignare”.