VARESE, 5 gennaio 2025- di GIANNI BERALDO
Sono trascorsi quasi dieci anni dalla strage di Charlie Hebdo, giornale satirico di Parigi attaccato nella mattinata del 7 gennaio 2015 da un commando di due uomini armati con fucili d’assalto Kalashnikov che fece irruzione nei locali della sede del giornale durante la riunione settimanale di redazione, sparando sui presenti. Furono uccise dodici persone, tra le quali il direttore Stéphane Charbonnier detto Charb e diversi collaboratori storici del periodico.
Dopo dieci anni da quella tragedia la difesa della libertà di stampa continua a essere un valore fondamentale nelle democrazie occidentali, ma la sua vulnerabilità è più evidente che mai. Sebbene la libertà di stampa sia protetta dalle leggi di molti paesi, le minacce contro i giornalisti e i media non sono diminuite, anzi si sono evolute.
In Francia, l’attacco del 7 gennaio 2015 ha dato un impulso alla consapevolezza del valore di questo diritto, ma allo stesso tempo ha accentuato le sfide legate alla sicurezza dei giornalisti e alla loro autonomia.
In molti paesi, la difesa della libertà di stampa è minata da censura, intimidazione e
violenza. I giornalisti, pur continuando a difendere la libertà di espressione, si trovano sempre più spesso a dover navigare tra la responsabilità di raccontare la verità e il pericolo di attacchi. In Francia stessa, le leggi antiterrorismo e le normative di sicurezza introdotte dopo gli attacchi hanno, in alcuni casi, limitato le libertà civili, portando a un dibattito continuo su come bilanciare la sicurezza nazionale con la libertà di espressione.
A livello globale, l’escalation di attacchi contro giornalisti e media ha fatto emergere la crescente preoccupazione per la concentrazione dei media in poche mani e il controllo dell’informazione, specialmente in regimi autoritari. In paesi come la Turchia, la Russia e alcuni paesi africani, la libertà di stampa è sempre più limitata, con numerosi giornalisti incarcerati o perseguitati per il loro lavoro.
Poi vi sono delle azioni più subdole come restrizioni e imposizioni sul modo di fare giornalismo, sfociando poi in sostituzioni o licenziamenti a livello di organizo di ‘giornalisti sgraditi’ soprattutto da qualche politico che poi spinge un editore a fare delle scelte. Anche sgradite.
Ecco, noi vogliamo che il giornalismo e chi lo professa rimanga tra le armi più efficaci nel combattere il dispotismo, l’arroganza e la prepotenza, mantenendo vivi quei valori democratici per i quali il giornalismo risulta fortunatamente ancora un baluardo difficile da abbattere.