VARESE, 22 aprile 2025- di GIANNI BERALDO
Vi era attesa di vedere ma soprattutto ascoltare Sigfrido Ranucci, ospite questa sera alla capiente sala Lyceum di Varese, per presentare il suo ultimo libro intitolato La Scelta, dove racconta il suo lungo percorso di vita e di giornalismo che l’hanno portato e essere uno dei volti più noti del giornalismo italiano ma non solo.
Come molti sapranno Ranucci è tra i più importanti giornalisti d’inchiesta in Europa, inscindibile pilastro del notissimo Report, programma investigativo, ideato da Milena Gabanelli, in onda sulla Rai ininterrottamente a partire dal 1994 (inizialmente con il titolo Professione reporter mutuato in Report dal 1997).

Dopo Gabanelli la conduzione è passata, nella primavera del 2027, a Sigfrido Ranucci, che d’inchieste non era certamente a digiuno considerato i suoi trascorsi prima a Rai News e successivamente altre esperienze e inchieste giornalistiche importanti (aggiudicandosi anche molti premi), che l’hanno portato a ricoprire il ruolo attuale.
Rai News alla cui direzione vi era Roberto Morrione, suo mentore e guida fondamentale per la sua crescita professionale e privata.
“Morrione è stato importantissimo per il sottoscritto. Augurerei a ogni giornalista di avere la fortuna di trovare sulla sua strada una persona simile” dice il giornalista romano rispondendo a una delle domande di Pasquale Diaferia, noto comunicatore varesino, scelto dagli organizzatori dell’incontro.
Fuori e ai lati della sala, agenti della polizia di scorta, gli stessi che seguono e proteggono Ranucci dal 2014 dopo le minacce di morte da parte della mafia, al culmine di alcune inchieste riportate anche su alcune pubblicazioni. Da quel momento la vita per lui è sicuramente cambiata.
“Onestamente non è cambiata molto rispetto all’inizio delle minacce, ossia dal 2009. Infatti conducevo una vita di merda prima e continuo a condurre una vita di merda ora”, sottolinea con la sua classica ironia Ranucci che non si scompone più di tanto, ricordando invece il grande lavoro a cui sottopone gli agenti di scorta “una volta il capo scorta mi disse: A dotto più che fuori lei deve preoccuparsi di quelli che stanno in Rai”, continua Ranucci sorridendo. In effetti per Sigfrido e tutta la redazione di Report, le cose vanno sempre peggio con continui attacchi da parte di alcuni politici influenti che vorrebbero far zittire per sempre una delle rarissime voci indipendenti della Rai.

E questo, nel giornalismo, vuol dire colpire nel segno, ossia fare luce su situazioni anche scomode e che potrebbero tornarti contro, ma la verità non deve avere barriere ideologiche o essere in ostaggio di ricatti politici ma non solo.
“Quello che soffro di più è sicuramente il grande stress che subisco a livello personale ma che coinvolge tutta la mia famiglia. Tutte quelle denunce, quelle false accuse mai confutate da prove, quel mettere in piazza un personaggio inventando fatti non veri, ecco tutto questo fa male e fa stare male. Soprattutto se pensiamo a tutto il tempo che dedichiamo a realizzare una puntata. Vi faccio un esempio: dopo 6 anni di lavoro, di indagini, interviste ecc… un servizio alla fine è durato 19 minuti con tutti gli strascichi e denunce derivanti”.
Confessa Ranucci che non maschera un filo di delusione, per il perseverare negli anni di questa situazione. Immaginiamo sempre più difficile da reggere.
Così come inaccettabile per il conduttore di Report è l’ipocrisia “odio l’ipocrisia perché porta la dolore, a situazioni che poi fanno male. Come ad esempio la storia dei vaccini nel periodo Covid. Qui l’ipocrisia è stata quella nell’avere nascosto la verità sui vaccini e di cosa potesse accadere. Per questo noi di Report dovevamo avere il nostro sguardo direttamente sul territorio, mettendo a rischio l’intera squadra. Così agendo abbiamo scoperto quel piano pandemico farlocco, così come la grande ipocrisia sul vaccino Astrazeneca”.
Le parole di Ranucci risuonano metaforicamente sempre più forti, su di una platea molto attenta a non farsi sfuggire nemmeno una virgola dei suoi racconti, delle sue inchieste, molte delle quali ricordate pure sul suo nuovo libro.
Insomma anche l’affluenza di questa sera ha evidenziato che, se questa società non ha certamente bisogno di ‘eroi’, ha comunque la necessità e voglia di avere delle persone, dei professionisti onesti e sinceri, in grado di raccontare le cose senza superficialità e approssimazione, ma con estrema e documentata professionalità.
A volte mettendo addirittura a repentaglio la propria vita. Proprio come Sigfrido Ranucci.