Frontalieri, la tassa divide anche la Lombardia: mozioni in arrivo per verificarne la legittimità

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VARESE, 23 aprile 2025-A oltre un anno e mezzo dall’introduzione della controversa tassa sulla salute a carico dei “vecchi” frontalieri italiani in Svizzera, le regioni di confine italo-svizzero non hanno ancora definito le modalità attuative per la sua applicazione. A denunciarlo con forza sono le principali organizzazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL, UNIA, OCST, SYNA, VPOD, SYNDICOM) in una nota congiunta.

Le OO.SS. ribadiscono le ragioni della loro ferma opposizione al provvedimento, evidenziando come esso reintroduca una doppia tassazione per i frontalieri tutelati dalla clausola di salvaguardia, che dovrebbero continuare a essere tassati unicamente in Svizzera, generando poi gettito attraverso i ristorni fiscali. Questa circostanza, secondo i sindacati, alimenta seri dubbi di incostituzionalità della legge, che intendono verificare alla prima eventuale applicazione.

Ulteriori criticità sollevate riguardano l’indisponibilità del reddito imponibile per l’applicazione dell’imposta, con la Confederazione Elvetica che, correttamente, non ha ceduto alle “irrituali richieste italiane” di violare il trattato sullo scambio di informazioni, limitato ai “nuovi” frontalieri. Infine, le OO.SS. mettono in discussione l’efficacia deterrente del prelievo fiscale sul personale sanitario italiano intenzionato a lavorare in Svizzera, data la sua dimensione e modalità.

Nelle scorse ore, la preoccupazione delle sigle sindacali sembra aver trovato eco anche in significative porzioni della politica regionale. Dopo la netta contrarietà espressa dal Piemonte e il silenzio di Valle D’Aosta e Alto Adige, anche all’interno della maggioranza che governa la Lombardia emergono distinguo sul provvedimento. Il termine “tassa” ha progressivamente sostituito l’eufemismo di “contributo” nel dibattito, e da più parti si invoca una verifica di legittimità attraverso mozioni nei Consigli Regionali di Lombardia e Piemonte, coinvolgendo sia maggioranza che opposizione. I ventuno mesi di mancata applicazione, sottolineano i sindacati, non riguardano solo l’iter burocratico, ma la natura stessa della misura.

Le OO.SS. ricordano come i frontalieri del vecchio regime fiscale contribuiscano già alla fiscalità italiana attraverso i ristorni fiscali del 40% delle imposte pagate alla fonte. Di queste risorse, il 50% è destinato alla copertura della spesa corrente dei Comuni, un valore incrementato grazie all’accordo del 2020 tra sindacati, ACIF e MEF. Il restante 50%, destinato alle spese per investimento, è invece definito dalle OO.SS. “oggetto di un vero e proprio assalto alla diligenza”, con attribuzioni di destinazione d’uso “al bisogno” come avvenuto nella stesura della finanziaria 2025. In questo contesto, i sindacati suggeriscono una riformulazione delle destinazioni d’uso dei ristorni come possibile alternativa per finanziare il sistema sanitario, evitando “elementi di dubbia legittimità costituzionale”.

Infine, le scriventi OO.SS. auspicano che, a seguito della prima seduta del tavolo interministeriale del 24 febbraio scorso, si possa procedere rapidamente con la definizione del regolamento di funzionamento dello stesso. Questo è ritenuto necessario per avviare la fase operativa e affrontare temi cruciali come lo Statuto dei lavoratori frontalieri, la corretta esigibilità dell’Assegno Unico Universale (AUUF), la definizione delle modalità attuative della nuova NASPI e l’estensione delle retribuzioni convenzionali, come stabilito nell’intesa di luglio 2024 con il MEF.