Intervista esclusiva a Nadia Urbinati, politologa a livello internazionale: ”Il populismo fa parte della democrazia e serve come segnale di allarme”

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Nadia Urbinati durante l'intervista via skype

VARESE, 27 gennaio 2022-Elezioni presidenziali con esito che potrebbe ripercuotersi sulla buona tenuta del prossimo governo.

Drammatici scenari di politica internazionale con venti di guerra tra Russia e Ucraina e crisi totale tra la stessa Russia e Stati Uniti coinvolgendo di fatto tutta Europa. Insomma argomenti sufficienti per elaborare nuove tesi politiche o per fare maggiore chiarezza.Per questo abbiamo intervistato via Skipe Nadia Urbinati, giornalista e una dei massimi esperti di politica a livello internazionale, oltre a essere titolare della cattedra di Scienze politiche alla Columbia University di New York.

Autrice anche di numerosi saggi con lei abbiamo inoltre parlato di populismo e democrazia a sorteggio, temi trattati negli ultimi suoi due libri intitolati ‘Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia’ del 2019 e ‘La democrazia del sorteggio’ pubblicato nel 2020.

Quale e come potrebbe essere lo scenario politico dopo le elezioni presidenziali italiane?

Mi pare sia una elezione condizionata dai destini del governo. Una situazione strana visto che tra poco più di un anno vi saranno le elezioni anticipate. Molti di coloro che siedono in parlamento non le vogliono sapendo benissimo che per molti di loro sarebbe la fine visto che il prossimo parlamento sarà dimezzato. Quindi vi è un elemento di interesse personale ma anche quello che nessuno vuole prendersi la responsabilità di fare cadere il governo, così cercano di prospettare una presidenza che metta una sorta di armatura a questa alleanza di governo per nulla strategica ma a scopo.

Come incidono secondo lei certi dettami politici populisti rappresentati da forze partitiche attualmente al governo e altre che potrebbero entrarvi a breve?

Mi sembra di capire che per ora abbiano smussato i toni demagogici propri del populismo. Neppure Giorgia Meloni tira troppo la corda perché sa benissimo che in questo momento non sarebbe opportuno forzare la mano. Lo stesso si potrebbe dire della Lega. I Toni forti non funzionano più e lasciamo stare i 5Stelle oramai in disfacimento e senza più un punto di riferimento. Sono una identità molto frammentata e per questa ragione non populista. Il populismo in qualche modo presume la possibilità di giocare sul terreno politico, in questo caso nessuno vuole rischiare di giocare su questo terreno.

In un suo libro del 2019 lei metteva a confronto due movimenti, due partiti in qualche modo simili come M5S e lo spagnolo Podemos: entrambi in calo di consensi, cosa è successo?

I partiti nati per via telematica come appunto M5S e Podemos che hanno scelto la via del digitale e non organizzati sul territorio, entrambi hanno mostrato il destino dei nuovi partiti populisti, cioè o diventano incapaci di gestire un governo e quindi in una perenne condizione d’instabilità, oppure diventano nuovi tradizionali partiti. Quest’ultima è la strada che ha preso Podemos divenuto un partito classico di sinistra abbandonando quella verve retorica del populismo. M5S invece ha scelto la via della dissoluzione generando instabilità. Oggi è un’ombra di sé stesso senza sapere cosa voglia e quale sia la sua funzione. D’altronde è nato come un partito contro, quello del vaffa day e all’inizio con grandi slogan diceva cosa volesse mettere in pratica, tipo quella cosa orrenda come la decurtazione dei parlamentari.

In cosa consiste la differenza tra la democrazia populista e quella rappresentativa?

Quella rappresentativa è quella che riconosce, che vi sono dei partiti che servono a mantenere un rapporto mediato e mai diretto tra quello che sta fuori e quello che sta dentro lo Stato. La democrazia rappresentativa quindi ha questa capacità, quella di tenere una separazione tra Stato e società attraverso i partiti e gruppi politici. Il populismo invece vuole riempire il gap e riunificare il dentro e il fuori, ecco perché si serve di leader carismatici ma senza essere organizzati come partiti tradizionali. Questo ‘movimentismo’ lo si vede molto bene in Venezuela con Chavez, un movimento in grado di collegare il dentro e il fuori. Questo secondo me è un limite enorme per le democrazie rappresentative perché in quella distanza chi sta fuori riesce a svolgere una funzione di controllo ma se quella distanza viene eliminata a quel punto chi controlla più? E’ evidente che in quello stato chi ha in mano il potere riesce a fare quello che vuole senza che nemmeno il suo partita riesca a controllare visto che sono funzionali al leader che li rappresenta.

Perchè il populismo viene spesso raccontato in modo negativo?

In realtà il populismo fa parte della democrazia e emerge ogni qualvolta il sistema rappresentativo mostra di essere di una distanza abissale rispetto alla realtà. Tecnicamente si potrebbe definire come forme di notabilato o vere e proprie oligarchie. Una sorta di campanello d’allarme per segnalare che la democrazia deve ritornare a governare i rappresentanti e non viceversa. In Europa la prima forma di populismo è stata proprio

Matteo Salvini

contro l’Europa, il sovranismo contro la tecnocrazia imposta ai Paesi membri dell’Unione. Populismo visto comunque negativamente in quanto la medicina che offre è peggiore della malattia in quanto propone di affermare il ‘potere dell’uno’: un popolo nel suo leader e unità contro la divisione interna. Situazione inaccettabile per le democrazie sempre allergiche a soluzioni unificanti. Quindi giusta la critica ma sbagliata la soluzione.

E la democrazia del sorteggio?

Oggi sono in corso delle modifiche per correggere delle storture emerse negli ultimi decenni per quanto attiene la democrazia rappresentativa. Una soluzione possibile è venuta dal populismo, un’altra il tema del sorteggio, un altro modo per risolvere il problema. Siccome si attribuisce alla elezione l’origine alla competizione per il potere e quindi lo smembramento del corpo politico, la soluzione contro questa è la democrazia che si basa solo sul sorteggio. In Italia alla origine dell’assemblea costituente vi è stato un tentativo simile con il movimento L’uomo qualunque che aveva nei suoi progetti quello di formare il parlamento sorteggiandone i componenti. Questo vorrebbe dire al fine e fare la democrazia senza elezioni. Oggi questa idea ritorna in auge e lo si è visto in Paesi come l’Islanda, la Danimarca e perfino in Francia dove il sorteggio viene usato per generare assemblee di cittadini capaci di dare suggerimenti o consigli a coloro che governano. Una dimensione questa gestibile ma il problema si porrebbe se questo sistema venisse utilizzato superando le elezioni, quindi scegliere solo con sorteggio. In pratica avremmo dei parlamenti sorteggiati, questo secondo me è un altro esempio di come si risponda malamente a un problema reale.

Pensa che si possa cambiare in futuro il sistema di voto?

Ora è evidente che vige l’assenteismo elettorale, situazione che si ripete nei secoli nelle democrazie elettorali. Partendo da quella ateniese dove la partecipazione al voto dei cittadini che andavano a votare i propri funzionari era bassissima. Stessa cosa accadde nel 700’ americano quando si fondò la democrazia. Quindi le democrazie hanno la tendenza a identificare il potere dei cittadini come un potere volontario. E’ questo diritto che dà la libertà, non il suo esercizio. Quindi non lasciamoci intimorire da questa caduta di partecipazione perché sono fasi cicliche. Ora parliamo di metodo. E’ vero che una delle ragioni per cui si scelse il metodo delle elezioni fu per ovviare al problema dei territori molti ampi, quindi per risolvere il problema della distanza e della grande dimensione. Oggi questo problema può essere risolto senza spostare le persone e muovendo solo le idee tramite internet. Se fosse questa la strada bisognerà cambiare anche la nostra Costituzione per fare in modo che la partecipazione diretta dei cittadini non si traduca da un lato caos e dall’altra un abuso del sistema democratico da parte di alcuni con grande desiderio di potere.

Che puó dirci dell’attuale crisi tra Russia e Stati Uniti per la vicenda Ucraina? Vi potrebbe essere anche un pericoloso effetto domino?

Cresce la tensione in Ucraina (foto iltempo.it)

In effetti dopo la guerra dell’ex Jugoslavia nel 1992, questa sarebbe la prima guerra del ventunesimo secolo con utilizzo di truppe sul territorio europeo. E’ una situazione gravissima, secondo me la Russia vuole portare Biden sul terreno dello scontro dal quale chi ne uscirà con le ossa rotte saranno proprio gli Stati Uniti. Da un lato Biden dà l’impressione di usare le solite strategie, ovvero servirsi della politica estera per risolvere i problemi interni. Ora unificare il Paese nel nome di un attacco alla Nato da parte della Russia è un obiettivo che può sembrare retoricamente vincente ma in realtà molto pericoloso.

Anche perché a differenza del passato l’atteggiamento da parte di molti paesi europei è diversa, considerando molti aspetti economici vincolanti alla Russia. Basti pensare alle eventuali conseguenze che potrebbe causare all’Italia mettendoci in ginocchio a livello energetico ad esempio

Ha ragione. Ecco perché Biden ripete spesso che “senza i nostri alleati europei non facciamo nulla”. Insomma lui vuole gli alleati europei che però non hanno gli stessi interessi degli Stati Uniti. Questi luoghi di confine tra imperi come potrebbe essere oggi appunto l’Ucraina, sono dei luoghi molto pericolosi e oggi non vi sono possibilità di contenimento. Magari useranno altre strategie militari ma Biden non può fare la voce grosse così come minacciare di mettere in atto sanzioni che risulterebbero molto problematiche rovinando i paesi e possono stabilire addirittura una ideologia che va esattamente nella direzione contraria. In Itran ad esempio è accaduto proprio questo, gli anni di sanzioni non hanno indebolito il sistema iraniano ma rafforzato. Un impasse che vuole la Russia perché in questo modo entra in gioco scatenando tensioni che divide gli Stati Uniti dagli alleati. L’idea della Russia è di portare l’Europa dalla sua parte isolando gli Stati Uniti.

di Gianni Beraldo

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