Intervista a Mauro Zambellini autore del libro dedicato agli Allman Brothers Band: “Creano ‘dipendenza’ perché fanno una musica coraggiosa”

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Mauro Zambellini

VARESE, 3 febbraio 2022-di GIANNI BERALDO-

Da sempre ama le sfide Mauro Zambellni, uno dei più autorevoli giornalisti musicali in Italia con crediti riconosciuti pure all’estero sia per alcuni libri di culto pubblicati nel corso degli anni, che per le innumerevoli collaborazioni con importanti riviste di settore. Oltre aver condotto programmi radiofonici (anche per la RAI) che hanno fatto la storia.

In questo caso forse si è superato, dando alle stampe il libro ‘The Allman Brothers Band. I ribelli del Southern Rock’ (edito dalla ‘coraggiosa’ casa editrice ‘Shake Edizioni’), una delle rare biografie al mondo dedicata alla saga familiare di quella che a ragione viene considerata come la più grande band della storia del rock e blues.

Ventitré capitoli suddivisi in 300 pagine con prefazione Marco Denti e postfazione di Tiziano Tononi. Una storia appassionante scritta con rigore, competenza e quella notoria verve che da sempre contraddistingue ogni lavoro di ‘Zambo’.

Biografia che si dipana come fosse un romanzo dal quale si potrebbe trarre anche un interessante docufilm con i fratelli Duane e Gregg Allman protagonisti (con la partecipazione diretta del resto della band), con le mille vicissitudini e contraddizioni che ne hanno contraddistinto tutta la loro carriera. Costellata pure da lutti importanti e fatti di cronaca inimmaginabili per altri gruppi.

Ma è soprattutto la loro musica e il periodo in cui hanno l’hanno vissuta, a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e metà Ottanta (con alcune reunion negli anni successivi ma oramai la saga, quella vera, degli Allman era conclusa da un pezzo), lasciando un segno indelebile nella storia della musica rock, marchiando tutti noi appassionati rendendoci fieri dipendenti dell’estro, bravura e folle genialità della Allman Brothers Band.

Per saperne di più abbiamo intervistato l’autore.

Mauro perché gli Allman creano ‘dipendenza’?

In genere danno dipendenza le cose che piacciono, per cui penso che gli Allman abbiano creato dipendenza  perché fanno una musica coraggiosa, che aldilà della sua complessità è riuscita a coinvolgere tantissimi ascoltatori in tutte le parti del mondo. Ancora oggi vi sono gruppi sui social che seguono la band come fossero ancora in vita quando invece sappiamo che la band si è sciolta nel 2014. Certo vi sono stati periodi più esaltanti inerenti la loro musica altri invece un po’ ombrosi, ma quella che affascina è che è una vera saga ‘familiare’ ambientata nel Sud degli States con tutti gli annessi e connessi sia in termini di trionfi che di cadute. Anche rovinose.

Pensi sia riduttivo etichettare l’Allmann Brothers come southern rock band?

In effetti penso sia riduttivo anche se il libro porta come sottotitolo ‘I ribelli del southern rock’. Sottotitolo che sottolinea il patto che loro, pur essendo dentro questo panorama musicale del Sud e soprattutto accasati con l’etichetta discografica Capricorn records che è stata portavoce del southern rock, in realtà loro si sono sempre un po’ defilati dagli aspetti diciamo ‘localistici’ del sud. Al contrario ad esempio dei Lynyrd Skynyrd, non hanno mai utilizzato la bandiera confederata sul palco e, a cominciare da Dickey Betts, hanno sempre rifiutato l’etichetta di band southern rock pur essendo orgogliosi di essere del Sud, avere legami con la propria terra e di essere portatori di alcuni valori di quella parte degli Usa. In realtà loro hanno sempre preferito essere definiti come una blues band. Secondo me sono una band di blues rock totale, con dentro il country, la psichedelia, il jazz e il soul.

Interessanti a tal proposito le loro escursioni musicali nel cosidetto southern soul.

Soprattutto attraverso la voce di Greg Allman, così pastosa, profonda, vorrei dire black ma si sente che è un cantante bianco. Diciamo che è un cantante senza colore dal punto di vista vocale. Poi vi son dei luoghi comuni come associare il southern rock a quelle istanze retrive, populiste e razziste del sud. Gli Allman invece fin da subito è stata una band a integrazione razziale con musicisti di colore inseriti fin dalla prima formazione. Così come non vi sono mai state differenze in tutto il loro entourage.

Una vera anomalia per il periodo…

Sì un’anomalia. Non dimentichiamo tra l’altro che nel 1976 hanno agevolato la campagna elettorale a Jimmy Carter, del quale si potrà dire di tutto ma non che non fosse un Democratico. Quindi anche sotto il punto di vista politico le distanze sono nette.

Nel libro ovviamente tratti pure la parte dedicata al loro quarantacinquesimo anniversario con concerti registrati nel 2014.

Per l’occasione registrarono concerti al Beacon Theater di New York dove Gregg Allman saltò alcune date per seri problemi di salute. Pensarono di sostituirlo con il cantante dei Wet Willie Jimmi Hall, ma il chitarrista Warren Haynes bocciò la scelta dicendo che la maggioranza delle persone venivano ad ascoltare l’Allman Brothers Band con Gregg Allmann e non con un sostituto. Quindi decisero di posticipare i concerti in attesa che si riprendesse Gregg.

E’ notoria la solidarietà tra band del Sud: come in questo caso mi pare di capire.

Sì, tra le band del sud questa cosa era molto sentita. Quando una band era in difficoltà magari un musicista andava suonare con un altro gruppo aiutandolo in quel momento e viceversa.

Come ad esempio le Volunteer Jam organizzate da Charlie Daniels (immortalate in diversi album, ndr) ricordate nel tuo libro.

La gente percepisce tutto questo come un ritorno allo spirito pionieristico del rock’n’roll dove tutti si aiutano come le band che non si competono, senza rivalità o invidie da star. E gli Allman hanno interpretato e rappresentato al meglio questo spirito.

Quando è nata questa tua passione per gli Allman?

Come per molti è nata quando ho sentito per la prima volta il loro ‘Live at Fillmore East’ nel 1971. Periodo in cui seguivo già del rock’n’roll e antecedente alla nascita della rivista ‘Mucchio Selvaggio’ così come le mie collaborazioni con alcune radio tra cui Radio Varese. Quando mi appassionai a Springsteen loro erano in una fase calante verso la fine degli anni Settanta dove incisero dei dischi un po’ ignobili però li ho sempre seguiti. Un grande regalo fu la reunion negli anni Ottanta con Warren Haynes.

In questo libro da ogni capitolo si potrebbe ricavare un libro a sé stante, vi è poi quel capitolo intitolato Dreams dove si evince l’amore e passione degli Allman per New York City.

Come tutte le storie, non solo musicali, a volte sono le coincidenze che fanno le differenze. Per loro avere questo contratto di distribuzione con l’Atlantic Records, fu più facile andare a Ny a registrare in uno studio non poi così attrezzato. Gregg Allman in quel caso fu sedotto quando si sedette al pianoforte che fu suonato da Ray Charles. Il cantante che lo aveva maggiormente impressionato. Loro con NY hanno sempre avuto un bellissimo rapporto, città sempre molto ricettiva per quanto riguarda la musica e il fatto che l’Allman non fosse un gruppo di blues canonico o di rock sudista al pubblico neworkese piacque molto.

Interessante anche il racconto sul rapporto Duane Allman e Eric Clapton, cosa li accomunava oltre al fatto di un consumo smodato di droghe?

In quel periodo le droghe sicuramente. Basti pensare alle registrazioni di Layla dove le droghe pesanti come cocaina ed eroina hanno fatto la loro parte. Layla è sempre stata attribuita completamente a Clapton , soltanto nel tempo è emersa anche la presenza di Duane che a volte supportava Clapton negli assoli così come per la parte ritmica. Certo che se non sai suonare le droghe servono a poco.

Per le serate al Fillmore East, locale gestito dal mitico promoter Bill Graham, hai dedicato un intero capitolo

Molti lo reputano uno dei migliori album rock e blues della storia. All’inizio le cose non girarono nel modo giusto. Il produttore Tom Dowd arrivò all’ultimo momento provenendo

Duane Allman

dall’Africa, mentre la band di loro iniziativa avevano invitato due sassofonisti e un armonicista all’inizio un po’ spiazzati e che suonarono nella prima serata. La successiva il produttore non volle sul palco l’uso dei fiati mentre in alcuni pezzi vi è ancora l’armonicista. Quelli erano momenti dove loro erano una sorta di peoples band come lo erano i Grateful Dead in quanto molte volte suonavo gratuitamente per chi non poteva permettersi di acquistare il biglietto. E questa è proprio una delle serate immortalata nel disco.

Prima di queste serate di concerti ad altissimo livello ne fecero altri in quel periodo assolutamente rivoluzionario. Alla fine pubblicarono il doppio At Fillmore East. Purtroppo non esistono registrazioni video se non di pessima qualità.

Per ogni capitolo hai scelto delle canzoni altamente simboliche ma che in qualche modo fossero attinenti alla storia che racconti.

Certo, come il capitolo intitolato Layers, guns and money (un successo di Warren Zevon, ndr)dove si racconta di questo fatto in cui Gregg Allman deve testimoniare contro il suo spacciatore nonché suo rock manager e quindi incrina la solidarietà della famiglia con gli altri che non perdonano. Lui d’altronde non poteva non testimoniare in quanto rischiava la galera. Un capitolo, una storia anche complicata da raccontare dove si narra delle vicende della cosidetta Mafia Dixie. Quindi i fucili del titolo sono riferiti alla mafia, i soldi perché erano alla base di tutto e gli avvocati che hanno poi risolto questa situazione difficile.

Un libro che appassiona moltissimo e si legge come fosse un romanzo dal quale potere trarre un film.

Diciamo che una volta iniziato poi il flusso narrativo è inarrestabile. Rileggendolo mi accorgevo che alcuni passaggi erano poco scorrevoli e per renderli più fruibili mi ha dato una mano Helga Franzetti, anch’essa collaboratrice del Buscadero.

Dove attingi le notizie, storie, spunti ecc… utili a scrivere libri come questo dedicato agli Allman così come per i precedenti?

Gregg Allman

A differenza di quello precedente dedicato a Willy De Ville (unica biografia al mondo dedicata al grande artista pubblicato nel 2013,ndr), per il quale avevo già parecchio materiale diretto come mie interviste, conferenze stampa e molti concerti ai quali ho assistito, con gli Allman è stato più difficile. Prima di tutto stavano dall’altra parte dell’oceano, poi ho trovato poco materiale a disposizione per non parlare dei concerti. In Europa sono venuti soltanto due volte e ovviamente non Italia. Personalmente non li ho mai visti dal vivo pertanto ho dovuto ricostruire tutta la storia leggendo soprattutto libri americani a loro dedicati oltre a un libro già edito in Italia intitolato ‘I cavalieri di mezzanotte’ di Scott Freeman che ho contattato chiedendogli se mi autorizzasse a riportare parti del suo libro citando la fonte. Cosa chiaramente poi avvenuta. Infine vi è stata una collaborazione con Fabrizio Perissinotto che tra le altre cose mi ha fatto arrivare a casa un libro scritto addirittura dalla figlia di Duane Allman. Tramite Perissinotto ho conosciuto il batterista jazz Tiziano Tononi che suona con Jaimoe Johanson (ultimo componente originale degli Allman rimasto), nella band J&F Band, che ha scritto la postfazione del libro raccontando la storia delle doppie batterie nel jazz e nel rock.

Concluso l’ultimo capitolo che sensazioni ti sono rimaste raccontando tutte queste storie sugli Allman e di un periodo musicale forse irripetibile?

Innanzitutto mi è rimasta l’amarezza di non averli mai visti dal vivo. Avrei dovuto prendere la decisione anni fa di andare a New York a vederli dal vivo almeno nell’ultimo loro periodo. A dire la verità forse in quel momento mancavano pure i soldi per una trasferta simile. Fattore che incide poi sulla scelta. Per il resto ti rimane la felicità di avere raccontato la storia di un gruppo certamente conosciuto ma non quanto merita, quindi sono soddisfatto di avere creato qualcosa che rimane e porta ad avvicinarsi alla loro musica anche dei neofiti. Inoltre scrivere questo libro mi ha permesso di conoscerli meglio, in maniera più approfondita. Insomma è come se fossi parte di loro.

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