VARESE, 27 maggio 2022-Il Liceo Artistico “Angelo Frattini” di Varese, sabato 28 maggio 2022 alle ore 11, inaugura nei suoi spazi espositivi tre mostre personali. Le mostre saranno aperte al pubblico su appuntamento fino al 1 Luglio 2022.
Allo SpazioArte, Alessio Larocchi (Milano) presenta Macchia cieca. Questi dipinti di “paesaggi/patterns mimetici” riflettono sull’idea di eterotopia. Eterotopia è termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano».
Eterotopico è, per esempio, lo specchio, in cui ci vediamo dove non siamo, un
luogo altro, uno spazio irreale che si apre virtualmente dietro la superficie ma che, al contempo, è un posto assolutamente reale, connesso a tutto lo spazio che lo circonda. Realtà e apparenza. In macchia cieca si vedono delle maculature che disattendono il compito di rappresentare il paesaggio, macule che lo
camuffano più che mostrarlo. La macula/macchia si auto-mimetizza celando la vera identità di macchia, riassorbite nel paesaggio che avrebbero dovuto raffigurare. La forma è quella di un tondo-lente che raddoppia il senso della percezione. Il carattere stabile della forma è così solo illusoria apparenza.
Larocchi coglie così identità fluide e mutevoli, con forme “instabili” che sfuggono alla nostra pretesa di classificazione, forme che ci tendono continui tranelli che chiamiamo chimere e che invece sono il loro più probabile statuto, la loro vera essenza. Un sogno vano, pure assenze, utopie appunto. “I tondi sono disposti a coppie separate da un ampio intervallo. L’interruzione indica lo spazio-tempo occorrente allo sguardo panoramico – supportato da binocolo – per cambiare punto di vista e raggiungere la successiva stazione di osservazione”. C’è qualcosa che notiamo con uno doppio sguardo e in mezzo la distanza del
dialogo tra le cose.
Alessio Larocchi nasce a Milano, dove frequenta la facoltà di Lettere Moderne a indirizzo artistico presso
l’Università Statale e si laurea all’Accademia di Belle Arti di Brera. Vive e lavora a Monza.
Artista multimediale, si esprime per contaminazioni di codici e forme, realizza progetti interdisciplinari, collabora a riviste e pubblicazioni d’arte, espone in spazi pubblici e privati in Italia e all’estero.
Per lo spazio Clip, Ermanno Cristini (Varese, 1951), presenta Tank, 1987, un suo lavoro storico che riflette sui rapporti tra materia, forma e immagine. Tank è parte di un ciclo di lavori realizzati in pongo, opere che interrogano la materia nel luogo della sua messa in crisi. Gli anni della caduta delle utopie e delle narrazioni.
Presentati appunto nel 1987 in una mostra che titolava Ephemera, si proponevano di riflettere su quegli “eventi senza prestigio” propri di una contemporaneità che iniziava ad essere qualificata da un “ronzio” elettronico di cui più tardi si sarebbe avuta una piena espressione, ma anche dal “ronzio” dell’edonismo, della citazione e dei media che si vogliono nuovi. Ed ecco il moderno messo definitivamente alle spalle e
l’arte come merce, l’arte come affabulazione e pastiche. Il fascino del pongo e la sua “pelle” ha permesso a Cristini di sistemare il suo punto di vista sulle nuove sfide che la pittura, o meglio l’arte andava ad affrontare, nel senso della sua doppiezza: materiale voluttuoso e sensuale, il pongo come superficie, si fa
“cosa” traspirando fisicità. Per di più molto colorata, quasi felice. Si ricorda che il pongo è stato la prima plastilina duttile a base di cera colorata e che ha appassionato generazioni di ragazzi… (poi è arrivato il Didò).
Questo materiale è duttile, quindi mentre lo si plasma, valorizzandone la concretezza nella sua “messa in forma”, la sua consistenza muta, adeguandosi alla plasticità data dal calore della manipolazione che lo cambia e nel cambiare la forma plastica risulta perennemente in progress, forma precaria e inconsistente. Alla vista il colore di Tank è improbabile nella sua smaccata artificialità e al tatto non c’è mai un consolidamento definitivo. Ogni forma è provvisoria, ed ecco il tempo, lo zeitgest dell’epoca di MTV, di
Ronald Reagan e della Margaret Thatcher, formalizzato. Può un oggetto raccontare tutto questo? Il pongo simula una consistenza e afferma uno stato in cui la materia, dichiarandosi come tale svela uno statuto di pura apparenza. Una perfetta metafora per Tank, che ha anticipato un tema reso centrale oggi entro la società della rete o delle reti e dei social: il rapporto tra essere e apparire, in una cultura in cui si è solo se si appare e dove il vero si identifica con il verosimile. Dietro la maschera c’è del pongo colorato.
Per The Black Hole, spazio espositivo sperimentale del Liceo (la buca d’ispezione dell’ex officina), Joykix (alias Fabrizio Longo, Milano, 1964), presenta Memorie del sottosuolo, un lavoro composto da elementi eterogenei che entrano in contatto e dialogo, ritmando attraverso la dialettica di una struttura architettonica natura e artificio, e così le dinamiche della vita contemporanea, metaforizzata dalla crescita e cura di un
microcosmo naturale custodito, privato e aperto allo stesso tempo. L’opera è quasi un’incubatrice, una macchina non-celibe, mediatrice di possibilità, post-ecologica e profondamente poetica. Una grande scultura-struttura sotterranea che si muove idealmente in dialettica opposta alla macchina celibe di memoria duchampiana, caratterizzata dalla proiezione in sé, del movimento fine a se stesso. Si rammenta inoltre come referente linguistico all’interno del sistema dell’arte del’900 che il Grande vetro è intitolato “La
sposa denudata dai suoi celibi”: un ingegnoso, curioso e intellettuale e anche complesso intreccio di meccanismi di cui non si riesce bene a vedere e capire il funzionamento e soprattutto l’utilità.