VARESE, 28 dicembre 2023-Si chiama chiodo endomidollare per osteointegrazione e rappresenta la frontiera più avanzata per i pazienti amputati alle gambe e protesizzati.
Si tratta di una tecnologia nata nel nord Europa e ormai radicata in Olanda e in Australia, e che è in fase di introduzione in Germania, in Polonia e ora anche in Italia, proprio all’Ospedale di Circolo di Varese, grazie ad un gioco di squadra tra Ortopedia, Chirurgia vascolare e Riabilitazione.
Una settimana fa, infatti, le sale operatorie dell’Ospedale di Circolo hanno ospitato i primi due interventi di impianto di questa tecnologia, grazie all’équipe ortopedica del Prof. Fabio D’Angelo, accompagnato dai dottori Giorgio Masotti e Gabriele Gritti e supportata dal chirurgo australiano Munjed al Muderis della “Macquarie University Hospital –Sydney (Australia)”. In sala anche i Chirurghi vascolari del Prof. Matteo Tozzi, Marco Franchin e Nicola Rivolta, che seguono la maggior parte dei pazienti amputati. All’Ospedale di Varese, infatti, ogni anno sono circa 50 (circa un’amputazione alla settimana) i pazienti che vengono amputati alle gambe: di questi, almeno l’ 85 % per cause di tipo vascolare, dalle complicanze del diabete agli aneurismi, e il restante 15% parte per cause traumatiche.
Per alcuni di questi pazienti, la via della protesi tradizionale, detta ‘a invaso’, non è percorribile, a causa del tipo di amputazione o per inadeguatezza del moncone, e il chiodo endomidollare rappresenta l’unica alternativa per consentire loro di camminare.
“Si tratta di un chiodo realizzato apposta per essere inserito all’interno dell’ultimo segmento osseo dell’arto e lasciato sporgere all’esterno del moncone, per agganciarvi la protesi – spiega il Prof. D’Angelo, che è anche docente dell’Università dell’Insubria di Varese – In questo modo la protesi diventa a tutti gli effetti il prolungamento dell’osso, favorendo una camminata più fluida e riducendo altre complicazioni”.
“Molti pazienti amputati non tollerano la protesi tradizionale, in alcuni casi non possono nemmeno provarla. Ecco allora che questa tecnologia rappresenta per loro l’unica possibilirà di tornare a camminare. Grazie all’inserimento del chiodo nell’osso e ad un’adeguato percorso riabilitativo, questi pazienti, al terzo mese dall’intervento camminano normalmente, contando su una soluzione durevole” spiega il Dott. Michele Bertoni, Direttore della Riabilitazione e Rieducazione funzionale.
Osteointegrare un paziente, cioè operarlo per impiantare questo chiodo, è infatti solo una tappa di un percorso di cura che si dispiega nel tempo e in cui il ruolo della Riabilitazione è fondamentale quanto quello dell’Ortopedia. Il paziente viene preso in carico dal riabilitatore ancora prima dell’intervento chirurgico per porre l’indicazione per questo tipo d’intervento ed in seguito rieduca il paziente al nuovo “arto protesico” che apre possibilità di vita il più possibile prossime a quelle precedenti all’amputazione. Centrale in questo è il ruolo del team riabilitativo (fisioterapista, terapista occupazionale, tecnico ortopedico e anestesista) coordinato dalla Dott.ssa Silvia Bozzi, referente per la riabilitazione degli amputati in seno all’équipe di Bertoni.
Altrettanto importante è il ruolo dei Chirurghi vascolari, che hanno in cura la maggior parte dei pazienti destinati all’amputazione: “Questa nuova tecnica agevola il nostro lavoro consentendoci di offrire prospettive nuove per i pazienti che, a causa di patologie vascolari, si ritrovano a dover vivere con un arto amputato – commenta il Prof. Matteo Tozzi, anche lui docente dell’Università dell’Insubria di Varese – A Varese possiamo offrire loro tutte le soluzioni disponibili, da quelle standard a questa particolarmente innovativa e performante”.
E’ bene tenere presente che il chiodo endomidollare non rappresenta la soluzione per tutti i pazienti amputati, ma per quelli tra loro che, per conformazione del moncone, per intolleranza o particolari necessità, non trovano nella protesi tradizionale ad invaso una risposta efficace. Introdurre questa innovazione a Varese contribuirà però non solo a dare questo tipo di risposta a chi ne ha bisogno, ma anche a diffondere una tecnica che apre orizzonti sempre più ampi a chi subisce amputazioni di arto.