VARESE, 19 dicembre 2024-di GIANNI BERALDO-
Nel panorama letterario contemporaneo, Volga Blues (edito da Gramma-Feltrinelli) del giornalista Marzio Mian (autore di altri grandi reportage e libri di viaggi in terre difficili oltre a essere candidato al Premio Pulitzer), si distingue come un’opera intensa e ricca di suggestioni. Un libro bellissimo, pregno di forti emozioni, un racconto della Russia e dei russi visto dall’interno con tutte le sue contraddizioni, ma anche la forza e resilienza di un popolo fiero come forse nessun altro al mondo.
Un viaggio di 6000 chilometri intrapreso proprio durante l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, quindi in un’atmosfera particolare quasi sospesa a livello di giudizio da parte della popolazione. L’innata capacità narrativa di Mian ci trasporta in un mondo intriso di memoria, paesaggi evocativi e riflessioni profonde sull’identità e trasformazione di questo grande, e in fondo ancora sconosciuto, Paese. In questa intervista esploriamo con lui le origini del libro, le ispirazioni che ne hanno guidato la scrittura e i temi che risuonano tra le pagine.
Nell’affrontare questa nuova avventura quanto sono servite le esperienze precedenti come ad esempio il viaggio seguendo il Mississipi ma soprattutto Guerra Bianca il Fronte Artico per capire, in parte, quali siano stati i fattori scatenanti della guerra in Ucraina?
Guerra Bianca in effetti era già un libro abbastanza sulla Russia: riguardava la questione
dell’Artico post attacco russo all’Ucraina. C’è un prima e un dopo ora nell’Artico è cambiato tutto. Quindi avevo già viaggiato in quelle zone della Russia, le più sensibili oltre al fronte vero e proprio della guerra guerreggiata. Anche in Guerra Bianca ad esempio affronto il tema della religione e la questione dell’identità russa. Questo invece è stato un viaggio che aveva una missione a sé stante, quella di cercare di raccontare una sorta di altro pianeta, raccontare quella che è diventata la Russia oggi. Ovviamente servono le esperienze passate per sapersi muovere così come aver già raccontato viaggi con protagonisti fiumi utilizzati come formidabile chiave narrativa. In passato ho fatto un reportage con protagonista il fiume Tevere ad esempio ma era più una biografia del fiume. Il Volga invece è, come diceva Pietroskvij. la biografia di un popolo. Ero indeciso se fare un racconto con una sua logica geografica oppure tematica. Alla fine si è deciso di fare un racconto documentando questo viaggio di per sé già una storia.
Volga Blues è un grande viaggio in una Russia per noi inedita , cruda e reale come non mai in un periodo di forti tensioni internazionali. Ma è pure uno stupendo affresco che ci rimarca l’importanza della letteratura russa nel mondo, della cultura e storia di un grande paese che tu racconti in modo vivido percorrendo città e paesi che l’hanno caratterizzata: compito descrittivo non facile immaginando quel contesto piuttosto difficile.
In Russia è più forte proprio perché perché la letteratura russa in epoca moderna arriva tardi ed è basata molto anche sulla sulla fiaba, sulla sulle favole eccetera. e Poi a un certo punto gli scrittori russi si accorgono scoprono di avere un materiale pazzesco che è la Russia stessa, una fonte d racconto credibile. Ecco che la letteratura diventa diventa analisi di un’identità e delle delle delle varie anime di quel paese. E’ come riavvolgere il nastro della storia.
Parlando di riavvolgere nastri della storia tu in questo libro lo fai benissimo ripercorrendola nei vari capitoli, così come raccontare gli eventi che hanno portato all’attuale situazione
Farlo è un rischio perché si rischia di essere bollati come filo putiniani anche per il solo fatto di di di porsi dei dei dubbi o voler dare delle spiegazioni che vadano oltre al fatto in sé dell’invasione russa in Ucraina. Riavvolgere il nastro vuol dire andare un po’ all’origine di questa crisi e le risposte possono essere anche scomode.
E’ in parte sorprendente leggendo il libro, come sia ancora forte lo spirito nazionalista di gran parte dei russi: tra questi lo scomparso Navalny di cui tu dedichi un capitolo rimarcando come fu l’eroe emblema delle purghe 2.0 presentandosi come un razzista e attivista conservatore di destra. Poi racconti bene come nacque la sua battaglia contro Putin e la corruzione dilagante: insomma emerge la figura di un personaggio diverso e non certamente un leader carismatico che potesse divenire una figura importante per un’opposizione che, come scrivi tu stesso, in Russia non esiste: che ne pensi?
La figura di Navalny rimane intatta come quello di eroe. Non dimentichiamoci che comunque questa persona decide di ritornare in Russia sapendo che cosa gli potrebbe accadere. Però bisogna anche essere chiari sul personaggio e ovviamente, come hai detto tu, conferma il fatto che un’opposizione organica non c’è e lui faceva parte di tutto quel mondo che era nato negli anni ‘90 e che proveniva da vari ambienti. Insomma uno strano magma di personaggi che cercavano una sorta di Santo Gral, come riempire di idee il vuoto lasciato dall’Unione Sovietica dando un senso alla nuova Russia. Navalny in tal senso era un nazionalista con delle venature razziste forti. Poi la sua forza è stata quella non tanto contrastare la politica di Putin, tant’è vero che si era allineato col nuovo messaggio chiamiamolo neo Imperiale soprattutto rispetto alle alle questioni regionali come il Caucaso ecc… dove lui era perfettamente allineato con con gli altri nazionalisti. Ma lui colpisce con i mezzi moderni, colpisce il portafoglio del leader e la sua cerchia criminale diventando pertanto più pericoloso degli altri.
Interessante anche l’aspetto relativo al fallimento inerente le sanzioni economiche nei confronti della Russia, che come contrappeso ha innescato una sorta di processo virtuoso rilanciando l’economia interna con quelle caratteristiche produttive autoctone ben note nella storia della Russia: anche qui tu hai avuto modo di vederlo attraversando regioni che questo processo produttivo l’hanno messo in atto fin da subito: parlando con molte persone che hai incrociato in quei luoghi e che tu descrivi magistralmente nel libro, cosa ti ha sorpreso maggiormente?
Ma guarda è stata è stato uno degli aspetti che ti dà il senso di cosa vuol dire fare sto mestiere sul campo, dove tu puoi leggere e analizzare i fatti associandoli alle idee. Verificando il grande sviluppo agricolo grazie al quale la Russia è diventata una superpotenza agricola, quello che poi ho chiamato il bancomat di Putin. Poi vi sono le estrazioni degli idrocarburi e altre ricchezze naturali. Detto questo ho scoperto che i famosi piani quinquennali di staliniana memoria li hanno utilizzati strategicamente anche per quanto riguarda l’Ucraina, permettendo la Russia di diventare il primo esportatore di grano anche a scapito della stessa Ucraina. In Russia sono state reintrodotte grandi coltivazioni di cereali recuperando ampie fasce di territorio abbandonate negli anni ‘90. Poi con con la grande crisi e quindi la chiusura dei fondamentali complessi agricoli come i colcos ecc… sono tornati a ricoltivare in quelle aree nelle cosiddette terre nere le più le più fertili. Anche il cambiamento climatico ha aiutato con l’innalzamento delle temperature. Poi tieni conto che forse la ricchezza più grande della Russia è lo spazio: immenso e illimitato. Chi conosce la Russia sa che è un elemento di cui bisogna assolutamente tenere in considerazione.
In questo caso il fiume Volga per Putin è diventato il sistema Volga per aggirare le sanzioni, importare ed esportare armarsi e costruire il blocco economico alternativo, come ben spieghi in un capitolo: come dire che vi è sempre una soluzione per emergere dal pantano. E’ così?
Eh sì, ma sai quando si dice che la Russia non può mai essere sconfitta è una verità, perché l’Unione Sovietica poteva essere sconfitta in quanto costruzione artificiale, era un impero che però non era l’Impero della Russia. No la vera Russia è un’altra, i russi di fronte all’ipotesi, allo spettro di un crollo della Russia sono capaci di qualsiasi cosa. Anche l’idea di sfruttare il ruolo dell’uomo è diversa. Basti pensare a quel sistema del Volga di cui parlo, sfruttando il sistema delle acque interne e che venne fatto costruire da Stalin al costo di migliaia di morti. Oggi la Russia si ritrova questo sistema che che fa sì che dal Caspio al Mar Bianco o al Mar Nero ci sia un sistema di acque interne che sopperisce alla famosa maledizione della Russia di non avere un mare caldo navigabile; anche se poi con l’Artico le cose sono cambiate perché adesso hanno un mare sempre più navigabile e strategico grazie al quale si può raggiungere altri luoghi. Altra cosa che solo andando sul campo puoi constatare seppur fino a un certo punto.
Come ad esempio la possibilità d’indagare a fondo sulla questione del commercio con l’Iran. Io le ho viste le chiatte ad Astrakan e se avessi avuto più tempo sarebbe diventata un’inchiesta importante. Sono quelle cose che ti rimangono, come si dice, un po’ ‘in canna’.
Parlando di Russia, di orgoglio russo, della forza dei russi, parlando di campagne e aspetti rurali mi è piaciuto molto quella parte del racconto dove rimarchi che quando si entra in un paese di campagna la tristezza scompare e subentra lo stupore: vi è come un senso di autogestione e anarchia, è anche questa la forza della Russia?
E’ la forza dell’individuo di affrontare l’immenso spazio e il clima. Poi le cose vanno insieme: c’è il grande spazio e c’è il clima impietoso per cui il villaggio e addirittura l’isba diventano una tana, un rifugio, un microcosmo rispetto al Cosmo, per cui appunto quel senso di autogestione e anarchia è proprio perché vivi in una situazione del genere. Sono realtà comunitarie interessanti che poi si scontrano con altre che noi conosciamo anche in Occidente come le grandi periferie, quegli spazi anonimi dove la la città sconfina in aree industriali piuttosto che con quel tipo di degrado lì. Nel libro ne racconto qualcuna dove vi sono zone di spaccio e altro ancora. Una roba drammatica che ti faceva accapponare la pelle. Come ad esempio quelle grandi aree ex industriali della città Togliatti (in Italia conosciuta come Togliattigrad, ndr). Visitandola ho capito che da sola valeva un libro a sé stante. E’ stata una grande sorpresa dove scopri che in pochi isolati c’è la storia della Russia intera. Questa città che era un po’, come amo definirla, la Beverly Hills dell’impero zarista della seconda metà dell’Ottocento fino a divenire la mecca del comunismo. Città poi finita nel degrado diventando la capitale della criminalità.
Una parte del libro riguarda appunto anche la lunga permanenza di Togliatti in Russia, raccontando come è stato uno dei complici di Stalin: un passaggio che non piacerà ai nostalgici del vecchio Pci.
Esatto, una parte del libro parla proprio di storia della Russia e anche della lunga permanenza di Togliatti in Russia. L’ho fatto apposta perché Togliatti in Italia è quasi un santino intoccabile. Ma le cose sono andate diversamente. Togliatti era l’uomo di Stalin che seguiva la sua linea politica anche nei confronti della guerra in Spagna o le sue posizioni sull’Ungheria. Ma poi anche la strategia applicata in Italia.
Insomma la città che porta il suo nome risulta anche essere un città di merda: questa è la realtà.
Durante tutto questo viaggio si palesano emozioni idee, considerazioni, sensazioni e pareri secondo me non scontati, sull’invasione russa in Ucraina da molti condannata ma non come pensiamo noi in Europa è così?
Io ero lì quando la guerra con l’Ucraina è iniziata, quindi ho potuto percepire bene lo spaesamento di gran parte della popolazione rispetto a questa azione, a questa invasione. Un senso di smarrimento proprio perché si era in guerra contro un paese fratello, quasi una sensazione di guerra civile. Poi le cose sono cambiate per cui l’Ucraina e gli ucraini non sono più tanto visti come il nemico, ma come un paese attraverso il quale l’occidente sta conducendo una guerra contro la Russia. C’è una grande stanchezza per varie ragioni e rispetto ai vari interessi ma anche in generale. Insomma il desiderio è che finisca il prima possibile, ma dall’altra parte vi è la consapevolezza che il potere centrale, il regime deve uscirne forte perché perché altrimenti, come lo spiego in vari punti del libro appunto con il concetto della smuta, il rischio è di avere un potere centrale senza porsi come obiettivo la democrazia ma essere comunque rassicurati che chi comanda sia forte anche se vi è un regime autoritario e repressivo. Quella capacità o quella disponibilità ad essere remissivi rispetto anche alla violenza del potere perdura, e risponde in sostanza a quello che dicevo, ossia è una risposta alla vera paura che è quella che la Russia possa possa crollare.
Un’avventura dove hai pure incontrato dei personaggi pazzeschi tra cui anche componenti della famigerata Wagner: pensi che quello sia stato uno dei momenti più pericolosi del viaggio?
A posteriori, ma neanche tanto a posteriori direi di sì. Diciamo che abbiamo capito che poteva succedere di tutto soprattutto quando uno di loro ha cambiato espressione e modo di parlare dopo avere parlato con Katia (uno dei due accompagnatori ufficiali, ndr) consigliandovi di andare via immediatamente. Katia sapeva ovviamente bene chi fossimo e il motivo per il quale eravamo lì, quindi il suo atteggiamento è stato quello di qualcuno che ha voluto approfittare di questo incontro per raccontare loro qualcosa del nostro viaggio. E’ stato pericoloso, ce ne siamo andati via subito senza fermarci in hotel. D’altronde quel tipo aveva un curriculum pazzesco a livello di scenari di guerra, era uno fuori di testa ed era appena rientrato dal fronte. In sostanza ci ha fatto capire che era meglio non fermarsi a raccogliere altre informazioni o intervistare un cantante con il quale avevamo un appuntamento.
Bellissimo anche il capitolo dedicato all’Isola dei pacifisti: leggendolo non riuscivo a capacitarmi che in Russia esistesse un luogo simile: quali le tue impressioni?
Beh no, è stata una pepita assoluta per tantissime ragioni. Una realtà sorprendente da ogni punto di vista perché appunto sei in guerra ed esiste una comunità del genere con dei personaggi degli yippies, dei peace and love. Poi Alberto che incontro e riporto lì, insomma bello e triste anche il suo racconto e come ha vissuto il il dramma della separazione da questi amici ucraini. Lui piangeva e perché i russi sono sono insondabili. Hanno questi sentimenti forti spontanei e di grande emotività. Sono capaci di grandi gesti, di espressioni di bontà, ma poi anche di grandi crudeltà. Conosco bene la Serbia e sono molto simili.
Katja e Vlad: due personaggi pazzeschi quasi cinematografici. Che ricordo ti rimane di loro?
Di grande compassione. Due storie tristissime però non potevo non averli nel libro perché appunto estremamente russi. Cioè avevo in macchina con me due esemplari intrinsecamente legati alla storia del viaggio.
Ma non ho ancora capito se fossero fidanzati…
Ma sì, diciamo che lei è la fidanzata di lui ma era sempre ubriaca. L’alcool è, come hai visto, un ingrediente della storia e come come ha detto anche De Bortoli quando, durante una presentazione del libro, ha sottolineato come in questo libro si sentono anche gli odori, soprattutto quello dell’alcol.
La foto in copertina è un’altra opera d’arte: chi rappresenta?
E’ un diacono il suo nome è riportato nel risvolto di copertina. E’ un diacono della Chiesa dei vecchi credenti e non c’è nel libro come personaggio, anche se poi ho utilizzato delle cose che lui mi ha detto E comunque è prete buono, abbastanza conformista che mi diceva appunto come tutta questa retorica delle tradizioni della Russia Cristiana della grande ortodossia alla fine si scontra con con le chiese vuote o con una società che detiene il record dei divorzi nel mondo. Ci sono retaggi dello Stato ateista ovviamente e le chiese le chiese poi sono piene in Polonia o in America non certo in Russia. Ci ha lasciato un bel ricordo e sia io che Alessandro siamo rimasti molto contenti di conoscerlo.
Cosa ti rimane a livello umano, cosa ti rimane di questo viaggio, di questa tua ennesima avventura?
Guarda mi rimane l’amaro di non avere potuto coltivare maggiormente rapporti con alcune persone che ho incontrato. Per per quel conflitto di civiltà che si è innescato e per cui ci sono ci sono dei personaggi che avrei voluto coltivare un rapporto e invece non è stato possibile: questa è un po’ l’amarezza che mi rimane. Di viaggi ne ho fatti tanti, anche più lunghi, però l’intensità l’intensità e vivere giorno per giorno, minuto per minuto sul filo del rasoio in estrema tensione con i timori sul fronte della sicurezza personale, sono emozioni forti rispetto a quello che si andava a raccontare. Sai un mese e 6000 km senza incontrare uno straniero ti fa capire qual è stata la missione, qual è stata l’importanza di questo viaggio.